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CULTURA ITALIANA NEL MONDO - FESTA DI NATALE INTERNAZIONALE A VILLA MANIN PER VIVERE IL BELLO DEI "CONFINI DA GAUGUIN A HOPPER. CANTO CON VARIAZIONI"
(2025-12-18)
"Confini da Gauguin a Hopper. Canto con variazioni" a Villa Manin, splendido gioiello, è un’esposizione molto vasta, distribuita in sedici sale su due piani. Una vera impresa anche organizzativa costata due anni e mezzo di lavoro, con 130 opere – molte tra esse veramente famose – provenienti da 42 musei, sia europei sia americani.
I confini in pittura vengono raccontati attraverso i due secoli – il XIX e il XX – che più di sempre ne hanno costituito l’espressione artistica, fin dal fondamentale tempo romantico di Caspar David Friedrich e William Turner, i due pilastri nella creazione di confini che fossero insieme dello spazio fisico e della mente.
La mostra non è però costruita come una semplice successione cronologica, da inizio Ottocento a fine Novecento, si sviluppa, invece,, in varie aree tematiche, per un meraviglioso viaggio in compagnia di capolavori senza tempo .
Se da un’unica parola, confine, viene il principio, questo progetto ha cominciato a nascere, e quindi a prendere vita nel pensiero del curatore, Marco Goldin, dal De rerum natura di Lucrezio, quando poeticamente egli indugia tra il confine e l’infinito, legando, nella forza del pensiero, l’uomo all’universo. Esattamente quello che questa mostra intende fare. È appunto l’idea del confine infinito, dello spazio infinito. Un confine spostato sempre più in là, fino al suo annullamento. Il confine diventa così l’universo.
E ciò non accade soltanto nella tensione che sempre ha portato l’uomo verso le dimensioni del naturale come il cielo, la montagna che è terra che emerge, e il mare, o quella di un apparentemente esotico altrove, ma anche nell’immensa dilatazione che dagli occhi si inabissa nel creato interiore. Ecco perché questa mostra si sofferma, in un suo punto, proprio quello del principio, nell’esposizione di sguardi e volti, alla ricerca di quel confine che non si distende nello spazio della natura ma alberga nel “risvolto interno degli occhi”, per usare le parole di Edvard Munch. È lì che si fissa uno dei punti più toccanti e struggenti della storia dei confini dipinti.
Ma lasciamo al curatore Marco Goldin il compito di farvi entrare sapientemente nel merito della mostra che - ricordiamo - rappresenta il tema guida della capitale europea della cultura 2025, Nova Gorica e Gorizia insieme.
Argomento primo Lo considero un privilegio di questo lavoro, un’avventura come poche altre ve ne sono. Ti è data una parola, una sola parola, per partire da lì per un viaggio noto e ignoto, tra cieli e giardini. E talvolta ancor di più, sembrerebbe, in quel luogo segreto che è il punto più fondo di noi. Diresti l’anima, se non fosse quasi ardito nominarla. L’anima in cui si segna la trasformazione del mortale nell’immortale.
Il confine come anima ha in sé questo doppio, e ben l’aveva detto Walt Whitman, che così scriveva:
L’anima, sempre e per sempre: più a lungo di quanto la terra sarà solida e bruna, di quanto il mare avrà flussi e riflussi. Scriverò le poesie della materia, credo che siano le più spirituali, scriverò le poesie del mio corpo e della mia mortalità, così darò a me stesso le poesie della mia anima e della mia immortalità.
Si tratta insieme del confine dell’universo e del proprio confine interiore. Da vivere come un’unica sostanza, nel momento in cui il fiorire di una rosa e il tramonto lontano sono una cosa sola. Attraverso gli occhi di chi guarda. Qui, ora, dentro.
Argomento secondo Il confine è uno spazio che si vede e si respira, che talvolta non si vede ma si intuisce che c’è. Si camminano i sentieri guardando da ogni lato, accorgendosi di tutto, abbracciando una luce che si tende fino all’estremo limite. Si viene condotti all’esplorazione, mentre ogni strada sembra quasi insufficiente per abbracciare la totalità di quel confine. Un altro grande poeta, Fernando Pessoa, lo ha detto in modo meraviglioso:
Quell’unica parola, confine. E non c’è niente di più eroico che la ricerca di una direzione. Da scegliere dapprima, a meno che non sia proprio lei a scegliere te. Allora il confine lo vedi, ti fermi, lo attraversi, può capitare che torni indietro, perché quello che scopri, e che senti, mette paura. Il confine reca in sé qualcosa di eroico e chi parte per quel viaggio lo fa proprio nella dimensione dell’eroe. Coloro che vivono un’esperienza che è qualcosa più dell’umano, anticipando così un tempo, e un luogo, che ad altri sarà concesso di vivere solo più in là.
Il mio sguardo è nitido come un girasole. Ho l’abitudine di camminare per le strade guardando a destra e a sinistra, e talvolta guardando dietro di me. E ciò che vedo a ogni momento è ciò che non avevo mai visto prima, e so accorgermene molto bene.
Argomento terzo Far diventare quindi la parola confine una riflessione a colori. Un racconto. Non lasciare che resti isolata in un sovramondo e invece trovare pittori che abbiano raccolto la sfida di dipingere il confine.
Loro, veri e propri anticipatori, si pongono a capo di una moltitudine, anche se qualche volta non lo sanno. Essi cercano una luce che rimandi al tempo del principio delle cose, quel tempo dal quale occorre porsi in cammino. Il confine non è solo punto d’arrivo, di scavalcamento, ma può essere anche la piazzola di partenza.
I pittori del confine sono quindi viandanti, non hanno paura di guardare e poi dipingere. Si rivolgono ugualmente alla profondità del cielo e alla distensione del mare, alla fioritura in un giardino e a ciò che incontrano dentro loro stessi.
E poi quella riflessione a colori, nata da una sola parola, confine, mutarla, felicemente, in una mostra. Ma non d’incanto, e invece dopo un lungo studio, letture, approfondimenti, sorprese.
Sì, farsi cogliere di sorpresa, impreparati quando capita così, ed è allora in quel momento che l’emozione ti prende, ed è allora che puoi cominciare a muoverti. Il corpo si leva da terra, è l’alzati e cammina evangelico. Il corpo si leva da terra e non ci sono, per quei pittori così coraggiosi, limiti al confine.
Sarebbe effettivamente da accettare l’invito che Thomas Eliot fa nel terzo movimento dei suoi Quattro quartetti:
Non buon viaggio ma avanti, viaggiatori.
E non verso un solo confine, e invece volgere il singolare al plurale, affinché si comprenda perfettamente, e fino in fondo, la ricchezza di una parola che così si fa sentimento, che abbraccia la molteplicità delle cose e ci fa dire: eccoli, i confini.
Argomento quarto E se qualcosa si è già compreso, è che la mostra che è nata da questa sola parola, confine, tiene un legame forte, indissolubile, con la poesia. Anzi, non può farne in alcun modo a meno.
Attraversa due secoli, l’Ottocento e il Novecento, sia in Europa sia in America. Ha a che fare con la forza e con il dubbio, e la parola sempre accompagna il colore.
Sono pittori che hanno sentito il senso non inutile di una sfida, l’hanno accettata, e hanno tracciato sentieri verso quei confini. Hanno viaggiato per terra e per mare, si sono sollevati tra le nuvole, hanno viaggiato dentro loro stessi, per raccontare, ognuno a proprio modo, la grandezza della vita.
Come spesso accade, lasciamo a Vincent van Gogh il pronunciare la direzione del cammino. In una lettera dell’agosto 1883, così scriveva al fratello Theo: “Ho un debito nei confronti del mondo, e anche l’obbligo – poiché ci ho camminato sopra per trent’anni – di lasciargli in segno di gratitudine qualche ricordo in forma di disegni o di quadri – che non sono stati fatti per piacere all’una o all’altra tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero.”
Ecco, sarà proprio così in questa mostra. La scoperta di un sentimento umano sincero. Ciò che commuove, rende felici e spaura.
Argomento quinto Se da una parola, confine, viene il principio, questa mostra ha cominciato a nascere, e quindi a prendere vita dentro di me come strada da percorrere e racconto da comporre, da un passo del De rerum natura, lì dove Lucrezio si sofferma tra confine e infinito.
È un brano di un fascino estremo, che lega nella potenza del pensiero l’uomo all’universo. Esattamente quello che questa mostra intende fare, specificandolo nel suo impianto generale e poi nella suddivisione all’interno delle diverse aree:
Tutto ciò che esiste è dunque illimitato in ogni senso; infatti diversamente dovrebbe avere un estremo. Ma appare evidente che nessuna entità può avere un estremo, se al di là di essa non vi sia qualcosa che la limiti, così che appaia un punto che la facoltà dei sensi non riesce a seguire né a superare. Ora poiché si deve riconoscere che fuori del tutto non può esistere nulla, l’universo non ha estremo, né confine, né misura. Né importa in quale sua parte tu sia situato; sempre, in qualunque luogo uno si fermi, da ogni lato lascia ugualmente infinito l’universo.
È l’idea del confine infinito, dell’universo infinito. Un confine spostato sempre più in là, fino al suo annullamento. Una linea da raggiungere e da oltrepassare, una linea che diventa materia pulviscolare dell’universo. Il confine diventa esso stesso l’universo.
E non soltanto ciò accade nella tensione spasmodica che sempre ha portato l’uomo verso le dimensioni del naturale come il cielo, la montagna e il mare, ma anche nella dilatazione immensa che dagli occhi si inabissa nel creato interiore. È splendida la frase di Socrate nell’Alcibiade: “Colui che ammonisce di conoscere se stesso, ci ordina di conoscere la nostra anima”.
Ecco perché questa mostra si sofferma, in un suo punto, anche nell’esposizione di sguardi e volti, alla ricerca di quel confine che non si distende nello spazio naturale ma alberga nel risvolto interno degli occhi. È lì che si fissa uno dei punti più toccanti e struggenti della storia dei confini dipinti, proprio lo sguardo che apre al silenzioso gong dell’inconscio. Ed è anche quel punto che la mostra, al di là di tanti paesaggi io credo non facilmente dimenticabili, incontra.
RICORDATE L'INDIRIZZO VILLA MANIN, PASSARIANO DI CODROIPO (UD) FINO AL 12 APRILE 2026 CON 130 OPERE DA 42 MUSEI DEL MONDO. (18/12/2025-itl/itnet)
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