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CULTURA ITALIANA NEL MONDO -REGNO UNITO- A LONDRA L'ITALIANISSIMA GALLERIA 'PIECE UNIQUE' DI DE CARLO OSPITA 'UNTITLED' SCULTURA DELL'ARTISTA MARISA MERZ TESTIMONE DELLA CONTINUA RICERCA CREATIVA
(2025-11-11)
MASSIMO DECARLO Pièce Unique è lieta presentare " Untitled" (1982–84) , la scultura di Marisa Merz: un volto in gesso appena abbozzato, appoggiato su un piedistallo al centro della scena.
Se "Untitled" appartiene alla serie di Testine, iniziata alla fine degli anni Settanta e sviluppatasi nell'arco di oltre quattro decenni, ciò che viene qui presentato assomiglia quasi a una maschera, che enfatizza la centralità del volto e delle sue componenti. Si adagia delicatamente sulla superficie del piedistallo, al tempo stesso dispositivo espositivo – poiché l'artista sceglie di presentare il suo lavoro in questo modo – e parte dell'opera stessa.
Fine e delicato, il volto è fugacemente delineato nella materia, la cui morbidezza contrasta con la rigidità del piedi-stallo metallico. Questa tensione impedisce alla scultura di assumere una forma definitiva, suggerendo invece un continuo processo di trasformazione. Il piedistallo, al contrario, è rigido, semplice ed evidente: offre supporto, ma condivide con la figura una certa fragi-lità. L'altezza delle sue gambe – sottili come quelle di un insetto – accentua lo squilibrio con la scultura, rendendola ancora più sfuggente e provvisoria. In cima al piedistallo, il volto sembra quindi essere in pericolo, come se potesse cadere da un momento all'altro.
Il senso di transitorietà della Testine testimonia la continua ricerca dell'artista, che non è diretta alla rivelazione di una forma definitiva. Non c'è un obiettivo preciso, una forma fissa da raggiungere, ma piuttosto un continuo atto di creazione. Successo e fallimento perdono la loro distinzione; si fondono in un unico gesto. In questo modo, lo studio della figura viene ribaltato: non si tratta di fissare un volto nei suoi tratti distintivi, ma di tentare di farlo – di vedere cosa ne deriva – pur riconoscendo, in un certo senso, l'impossibilità di trasmettere pienamente la propria visione di esso. Il volto, come scrive Emmanuel Lévinas, è il luogo in cui l'Altro irrompe davanti a noi e resiste alla cattura dell'intuizione sensibile: "Manifestarsi come volto significa imporsi al di là della forma".
Merz, da parte sua, insiste sulla non-definitività delle forme, sul fatto che il loro valore rimanga intatto anche quando non vengono portate a compimento. Insensibili al passare del tempo, Tommaso Trini le definisce “prefigure”. Queste immagini sono inscritte in una linea temporale – annunciano ciò che un giorno potrebbe prendere forma, precedono la forma – eppure resistono a ogni vera definizione. Merz modella quindi, spesso usando il proprio corpo, plasmando la materia con le dita, i gomiti e le mani. È un processo fisico ma delicato – una forza diversa, una diversa urgenza. L'urgenza di dare forma è certamente presente, ma anziché affermarsi definitivamente nell'opera, l'artista la lascia andare, concedendole autonomia.
L'approccio figurativo è un altro elemento distintivo della sua pratica. Ci troviamo di fronte a un volto, che rivela il desiderio di Merz di rappresentare ciò che vede – la sua quotidianità; l'artista, infatti, non crede in una separazione tra arte e vita. Ma il volto rappresenta anche se stessa: una visione,come scrive Catherine Grenier, che emerge "dalle profondità del Caos, dove la figura della Donna e il volto dell'artista si intrecciano e si fondono". È quindi un'oppor- tunità per osservare cosa succede quando si cerca di rappresentare un volto umano: materia e figura lottano tra loro. È il volto che sprofonda nella materia, cercando di dominarla, o la materia che la assorbe e la dissolve? O è piuttosto un movimento verso l'esterno – dove non è chiaro se la materia stia respingendo il volto, o il volto stesso che lotta per liberarsi, come imprigionato al suo interno? Ma non conosceremo mai l'esito di questa lotta.
Ci troviamo di fronte a un volto, che l'artista ci presenta su un piedistallo. È ciò che vediamo ogni giorno, ma anche ciò che ci sfugge costantemente, o forse ciò che comincia a prendere forma proprio nel momento in cui lo vediamo.
--------------------------------------------------------------------- Marisa Merz nasce il 23 maggio 1926 a Torino, dove, fin dall'adolescenza, si inserisce nel ricco panorama culturale cittadino, segnato dall'eredità della scuola di Casorati. Esordisce artisticamente negli anni Sessanta con le Sculture Viventi, opere in lamiera di alluminio composte da più elementi a spirale, così mobili e irregolari da guadagnarsi il nome di "viventi". Radicate nella sperimentazione materica e in un design essenziale, queste prime opere – presentate da Sperone a Torino già nel giugno del 1967 – anticipano e preparano la partecipazione dell'artista al movimento dell'Arte Povera.
Merz ha introdotto nel linguaggio della scultura contemporanea tecniche artigianali e oggetti realizzati a mano tratti dalla tradizione, spesso associati al lavoro domestico femminile, conferendo piena dignità artistica a materiali e pro-cessi quotidiani. Così facendo, si è distanziata sia dalla poetica delle strutture primarie del minimalismo – razionali e autoreferenziali – sia dal gruppo stesso dell'Arte Povera, verso il quale ha dimostrato, fin dagli esordi, una sensibilità eccentrica.
Dalla metà degli anni Settanta in poi, gli interventi di Merz assumono un carattere prettamente ambientale, a partire da una serie di stanze che organizza in spazi complementari: l'ambiente aperto e pubblico della galleria e lo spazio sotterraneo e segreto di una cantina. Questo continuo movimento tra la dimensione privata e quella pubblica diventa una metamorfosi ininterrotta: tracce incise che si trasformano in forme scultoree e la fisicità materica che si tramuta in toni cromatici dipinti. È a questo punto che emerge il suo interesse per il volto umano, reso in due o tre dimensioni attraverso disegni e dipinti, o in sculture in argilla, gesso e cera. Anche le “sculture viventi”, le testine che accompagneranno l’artista per oltre 40 anni, sono, come scrive Catherine Grenier, “visioni portate dalle profondità del Caos, dove la figura della Donna e il volto dell’artista si intrecciano e si fondono”, o, come le definisce Tommaso Trini, “prefigure”, la cui autonomia si dispiega in un inedito chiaroscuro scultoreo che rimanda indefinitamente ogni forma definitiva (Rudi Fuchs)
"Pensare alle cose come senza forma", ha scritto anche Trini, "permette loro di liberarsi sia dal reale che dall'irreale. Nella circolarità tra luce e oscurità, una forma definitiva può trovare il suo posto, rinascendo all'inizio di tutte le cose". Negli anni Ottanta, le diverse voci attraverso cui si era sempre espressa la creatività di Merz raggiungono la loro perfetta sintesi e piena maturità: nelle dense e delicate testine, nei raffinatissimi disegni su carta, nelle pale d'altare polimateriche. Lo testimoniano le mostre personali alla Galleria Bernier (Atene), alla Galleria Fischer (Düsseldorf), alla Galleria Tucci Russo (Torino); gli inviti alla Biennale di Venezia e a Documenta; e la partecipazione a importanti collettive. Dopo la Biennale di Venezia del 1980, espone a Parigi in Identité italienne. L'art en Italie depuis 1959, a cura di Germano Celant per il Centre Pompidou (1981); poi a Roma al Palazzo delle Esposizioni per Avanguardia. Transavanguardia, a cura di Achille Bonito Oliva (1982), anno in cui partecipa anche a Documenta.
Negli anni successivi l'artista rese ancora più rare le sue già rare apparizioni pubbliche. Tra le sue mostre personali nei musei figurano: Centre Georges Pompidou, Parigi (1994); Kunstmuseum Winterthur (1995 e 2003); Museo Stedelijk, Amsterdam (1996); Galleria d'Arte Moderna Villa delle Rose, Bologna (1998); Museo MADRE, Napoli (2007); Centro internazionale d'arte e di paesaggio, Île de Vassivière (2010); Fondazione Querini Stampalia, Venezia (2011); Fondazione Merz, Torino (2012); Serpentine Gallery, Londra (2013); e MACRO Museo d'Arte Contemporanea, Roma (2016).
Nel 2017, la sua prima grande retrospettiva americana, The Sky Is a Great Space, si è tenuta al Metropolitan Museum of Art di New York e all'Hammer Museum di Los Angeles, per poi spostarsi al Serralves Museum of Contemporary Art di Porto e al Museum der Moderne di Salisburgo nel 2018. Dopo aver partecipato a diverse edizioni della Biennale di Venezia dal 1972, Merz ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria nel 2001 e nel 2013 le è stato conferito il Leone d'Oro alla carriera.
Marisa Merz è scomparsa a Torino il 19 luglio 2019. Due mesi dopo, al MASI di Lugano, è stata inaugurata la sua ultima mostra personale, Geometrie sconnesse palpiti geometrici.
Nel 2021, la Fondazione Merz ha organizzato una doppia mostra intitolata La punta di matita può eseguire un sorpasso di coscienza, con opere in gran parte inedite di Marisa e Mario Merz. L'anno successivo, il Musée Rath di Ginevra ha ospitato la coppia in un'ampia retrospettiva.
Nel 2023, il MAXXI dell'Aquila ha affiancato Marisa Merz all'artista indiana Shilpa Gupta in un dialogo a due voci dal titolo visibileinvisibile. Nel 2024, a trent'anni dalla sua personale "francese" organizzata dal Centre Pompidou, il LaM di Lille ha presentato un'elegante retrospettiva intitolata Listening to Space, con opere inedite e una sezione speciale dedicata all'archivio dell'artista; la mostra sarebbe dovuta approdare al Kunstmuseum di Berna e al Fridericianum di Kassel nel 2025. (11/11/2025-ITL/ITNET)
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