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IMPRESE ITALIANE NEL MONDO - CINA - DA CCIC V° RAPPORTO STATO SALUTE IMPRESE ITALIANE MERCATO CINESE: PER 54% ASPETTATIVA CRESCITA MA SCENARIO SEMPRE PIU' SFIDANTE. E SI GUARDA ALL'ASEAN

(2023-11-29)

  La Camera di Commercio Italiana in Cina ha pubblicato la 5° edizione del Rapporto sullo stato di salute delle imprese italiane nel mercato cinese.

Dopo 3 anni turbolenti legati all'emergenza pandemica, in particolar modo il 2022, anno in cui il Paese si è trovato in un lockdown rigidissimo che ha messo a dura prova la fiducia della comunità imprenditoriale italiana, il 2023 è iniziato come l’anno del tanto atteso ritorno al futuro.

Se il bilancio finanziario delle aziende italiane nel 2023 è più positivo del 2022, tuttavia non tale da soddisfare le attese di crescita e di ripresa previste ad inizio anno. Nonostante ciò, continua ad emergere la radicata consapevolezza nelle imprese italiane dell’enorme potenziale che il mercato cinese ha, e continuerà ad avere: il 54% ha infatti indicato l’aspettativa di crescita nel proprio settore di attività nel medio/lungo termine, mentre solo il 20% prevede una diminuzione con una situazione generale al contorno, macro e microeconomica, ancor più difficile e in contrazione rispetto alle aspettative previste ad aprile.

"Il moderato ottimismo, che si auspicava seppur con una generalizzata cautela potesse dare il via a una sostenibile ripresa della domanda interna, è venuto a scemare." afferma il Presidente della Camera di commercio italiana in Cina,
Paolo Bazzoni, Presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina e Consigliere di Assocamerestero con delega su Asia, Oceania e Africa Sub-Sahariana.

"La permanente mancanza di fiducia dei consumatori locali, sostiene,  ha contribuito a comprimere la domanda interna e i consumi; la ripresa dei progetti infrastrutturali e della transizione energetica si è raffreddata; la forte criticità del settore immobiliare ha drenato nuovi investimenti e risorse fresche, non solo domestiche, ma anche estere, fondamentali per un mercato sano e reattivo.

In questo scenario complesso e sempre più sfidante per le nostre aziende, non si sono poi realizzate concretamente nemmeno nuove politiche economiche a supporto della domanda, rimanendo il sistema paese Cina tuttora ancorato a schemi non piu’ incentivanti e legati a un periodo di crescita che ormai è cambiato.
Le nostre aziende quindi, resilienti piu’ che mai e sempre ben posizionate nella maggioranza dei settori del MADE IN ITALY da ben oltre un decennio in questo mercato, cresciuto per dimensioni e qualità in modo significativo negli ultimi anni, hanno evidenziato un ulteriore deterioramento nelle aspettative di crescita e di creazione di valore nel 2023.

Il “business sentiment” delle aziende italiane in Cina sembra essersi ulteriormente deteriorato rispetto al primo trimestre 2023, con il 41% delle imprese che dichiara di nutrire una minore fiducia nel mercato cinese. I piani di nuovi investimenti sono ancora incerti per metà delle aziende intervistate. Scetticismo e minore fiducia anche da parte delle case madri Italiane, che per il 39% ammette di avere i propri HQ meno inclini a nuovi investimenti in Cina.

Si evidenzia perciò un approccio di attesa unita però a una continua e accelerata azione di revisione strategica degli obiettivi di medio termine, per approfittare di questo momento di rallentamento. Le nostre aziende stanno lavorando per un posizionamento piu’ selettivo ed orientato alla creazione di valore, al di là dei volumi, che va presidiata e protetta in attesa di una ripresa sostenibile atta a controbilanciare la sempre più aggressiva concorrenza delle aziende locali.
Viene comunque evidenziata l’importanza del mercato Cina per la maggioranza delle nostre imprese localizzate e dei Gruppi di riferimento, riconfermando altresì, in sintesi, che il mercato cinese non è più la sola e unica fonte di crescita ed espansione.

Si guarda anche altrove, Asean in primis, senza però disinvestire (solo il 9% ha deciso di diminuire gli investimenti) mantenendo una priorità concreta su un’ulteriore localizzazione di R&D, trasformazione digitale, e-commerce e qualità, per spingere sempre di piu’ verso l’alto-di- gamma il nostro Made In Italy."

Moderata la crescita dei profitti rispetto al 2022, anno che lo ricordiamo essere stato particolarmente penalizzante per le aziende operanti in Cina causa le restrizioni pandemiche, con il 43% che dichiara di chiudere l’anno con una crescita del 10% o più del profitto. Di contro, il 35% dichiara un calo del profitto rispetto allo scorso anno.
Dopo le turbolenze del 2022, la strategia relativa alla catena di approvvigionamento si è stabilizzata, con il 70% degli intervistati che dichiara di avere una catena di approvvigionamento parzialmente (45%) o completamente (25%) localizzata. Il 10% è ancora indeciso, ma propende per un cambiamento nella struttura della propria supply chain. L’8% ha invece già deciso di diversificare, delocalizzando e spostando parte della filiera altrove – una tendenza, quella della diversificazione, in leggero aumento rispetto a quanto fotografato nel 4° sondaggio, che aveva registrato un 6%.
I piani di investimenti in Cina sono ancora incerti per metà delle imprese intervistate: mantengono gli investimenti pianificati negli anni passati, ma restano molto attenti sugli investimenti futuri, monitorando il mercato senza sbilanciarsi.
  Il business  italiano è ulteriormente deteriorato rispetto al primo trimestre con il 41% delle imprese che dichiara di nutrire una minore fiducia nel mercato cinese, pur non indicando alcuna intenzione di lasciare la Cina. Ad essere scettiche e più diffidenti anche il 39% delle case madri italiane.

I piani di investimenti in Cina sono ancora incerti per metà delle imprese intervistate: mantengono gli investimenti pianificati negli anni passati, ma restano molto attenti sugli investimenti futuri, monitorando il mercato senza sbilanciarsi.
  Il business italiano in Cina è ulteriormente deteriorato rispetto al primo trimestre con il 41% delle imprese che dichiara di nutrire una minore fiducia nel mercato cinese, pur non indicando alcuna intenzione di lasciare la Cina. Ad essere scettiche e più diffidenti anche il 39% delle case madri italiane.

Chi ha deciso investimenti in Cina soprattutto all’apertura di nuovi impianti manifatturieri (38%), trasformazione digitale ed e-commerce (35%) e ricerca e sviluppo (25%).
Guardando al 2024, la preoccupazione di gran lunga principale dei nostri membri - afferma il Presidente della Camera Italiana di Commercio in Cina.è il rallentamento dell’economia cinese, con la conseguente riduzione della domanda interna, l’aumento dei costi, l’aggressiva concorrenza degli operatori locali e le crescenti difficoltà nel mercato del lavoro.
A tale proposito, il 28% delle imprese sta riequilibrando i propri investimenti nel capitale umano, con l’obiettivo di una riduzione dei costi, ma anche per una più ampia revisione strategica verso il Paese.

Le ragioni principali dell'incertezza derivano da un’aggressiva concorrenza interna; l'aspettativa di una crescita economica più lenta in Cina; l'aumento dei costi operativi e la graduale necessità di ridurre l’esposizione al rischio Paese
Parlando di strategia della propria attività in Cina, il 50% dichiara di non voler apportare alcun cambiamento, mentre il 33% degli intervistati prevede di aumentare la localizzazione nei settori ricerca e sviluppo, produzione,
approvvigionamento vendite.

I budget di inizio anno sono stati, per molti, ridimensionati: oltre il 46% degli intervistati non prevede di raggiungere nemmeno il 60% del fatturato messo a budget ad inizio anno; mentre più del 62% non raggiungerà i KPI prefissati.

Solo il 16% sta cercando di riportare manager italiani a presidiare i propri investimenti in Cina, mentre un altro 32% si prepara a lanciare un programma per attirare talenti cinesi, una scelta che potrebbe portare delle conseguenze relativamente ad una progressiva perdita dell’identità e cultura aziendale nel medio termine.
La debole ripresa economica rispetto alle previsioni di inizio anno, con crollo dei budget, difficoltà legate ad un aumento dei costi e una concorrenza aggressiva del mercato interno, potrebbero determinare un cambio strategico di rotta per le nostre aziende?

Difficile dare una risposta univoca. Sicuramente l’ambiente in cui si opera ha accelerato il processo di localizzazione della catena di approvvigionamento da un lato, e di diversificazione per minimizzare i rischi dall’altro, insieme ad una maggiore predisposizione ad assumere personale locale.
In questo 5° sondaggio, così come nei precedenti, continua però ad emergere un aspetto fondamentale: la radicata consapevolezza nelle imprese italiane dell’enorme potenziale che il mercato cinese ha, e continuerà ad avere.
Nonostante le difficoltà contingenti ed una Cina in rallentamento, il 54% ha infatti indicato l’aspettativa di crescita nel proprio settore di attività nel medio/lungo termine, mentre solo il 20% prevede una diminuzione.

Per il 52% delle imprese italiane la Cina rimane dunque un mercato importante in cui operare e continuare a mantenere la propria attività, seppur con una maggiore cautela e selezione negli investimenti.

Per il 16% degli intervistati tuttavia la Cina non è più un paese prioritario e sta pianificando di ridurre il rischio dei propri investimenti guardando ad altri mercati, in particolare nella regione dell’ASEAN.

La Camera di Commercio Italiana in Cina è quindi ora ancor più responsabilizzata e focalizzata a presidiare i territori al servizio e supporto delle nostre aziende e dei nostri soci, come soggetto rappresentativo dell’Italia che fa impresa in Cina, lavorando concretamente come sistema Paese in sinergia con Ambasciata, Consolati Generali e Agenzia ICE, per indirizzare, proteggere, informare e creare nuove opportunità di sviluppo per il Made in Italy." conclude Paolo Bazzoni
Presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina Consigliere di Assocamerestero con delega su Asia, Oceania e Africa Sub-Sahariana.  (29/11/2023-ITL/ITNET)

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