Sponsor
|
IMMIGRAZIONE - FONDAZIONE MIGRANTES: "RICERCA: ADOZIONI DI MINORI ROM/SINTI E SOTTRAZIONE DI MINORI GAGE'"
(2008-11-10)
L?ampia ricerca ?Adozione di minori rom/sinti e sottrazione di minori gag?? commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell?Universit? di Verona e alla direzione del Prof. Leonardo Piasere, si articola in due studi volti a rispondere a differenti ma complementari interrogativi.
L?uno ?? in corso di pubblicazione presso CISU ? volto a verificare quanti bambini figli di rom o sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai Tribunali per i Minori italiani a famiglie gag?, condotto da Carlotta Saletti Salza. L?altro ? gi? edito dallo stesso editore col titolo ?La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007) ? sui presunti tentati rapimenti di infanti non-rom da parte di rom, condotto da Sabrina Tosi Cambini.
Il progetto di ricerca ?Adozione dei minori rom e sinti? prevedeva la raccolta il pi? esaustiva possibile di dati documentati relativi all?affidamento e all?adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei minori italiani, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005, nonch? un?analisi dei dati raccolti. La scelta ? stata quella di condurre una ricerca sull?affidamento e sull?adozione dei minori rom e sinti a partire dai dati relativi alle dichiarazioni di adottabilit? che sono registrati presso le sedi dei tribunali minorili e dalle informazioni raccolte nei servizi sociali di territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal nucleo famigliare. Quindi, sono stati raccolti i dati relativi alle dichiarazioni di adottabilit? presso otto (Torino, Bologna, Bari, Lecce, Trento, Firenze, Venezia e Napoli) delle ventinove sedi dei tribunali minorili e sono stati svolti colloqui con i servizi sociali di riferimento. Complessivamente, i casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili sono oltre duecento.
I dati raccolti in ciascuna delle sedi dove si ? svolto il lavoro di ricerca mostrano differenze rilevanti legate al contesto storico e sociale all?interno del quale, nel corso degli anni, si sono inserite le differenti comunit? rom e sinte. Per fare un esempio, vi sono situazioni nelle quali troviamo una mancanza di tradizione del lavoro dei servizi sociali (come a Lecce, dove assistiamo a una pericolosa inversione di ruoli dal momento che l?Autorit? Giudiziaria minorile si sostituisce alla tutela sociale che dovrebbero invece esercitare i servizi di territorio) e contesti nei quali invece i servizi sociali vantano una sorta di specializzazione nel lavoro con le comunit? rom (vedi il caso di Firenze, Torino, Venezia), con una pericolosa stigmatizzazione della cultura da parte dei differenti operatori coinvolti.
Nel complesso, l?analisi dei dati mostra la facilit? con la quale, nelle diverse realt? analizzate, la tutela sociale (dei servizi di territorio) e civile (dell?Autorit? Giudiziaria) scivolano nell?indifferenziare l?identit? di un minore rom con quella di un minore maltrattato. Come se la cultura ?altra? potesse fare del male al bambino. Questo ? ci? che pensano molti degli operatori incontrati. Tutti i minori rom, in quest?ottica diventerebbero dei bambini maltrattati. L?intervento di tutela operato in molti contesti diventa quindi quello di allontanare, togliere il minore dal suo contesto famigliare, per educarlo, come se la cultura rom non avesse un modello educativo o, per lo meno, come se la cultura rom non avesse un modello educativo valido. I concetti impliciti che precedono questa riflessione propria di molti operatori cos? come di molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come soggetto di una situazione di pregiudizio solo e proprio perch? ? rom o perch? vive su quel pezzo di terra dove si trova il ?campo nomadi?. Precisamente, i presupposti impliciti di molti operatori sono che: - la cultura rom ? da considerarsi ?mancante?, sempre e comunque, con tutti i bambini; - nella cultura rom vi ? un?assenza delle capacit? genitoriali; - da parte dei genitori e/o della famiglia rom vi ? un?assenza della tutela dell?infanzia.
Sono proprio questi i presupposti in funzione dei quali l?intervento di tutela sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo dalla sua famiglia o dalla sua cultura. Cosa accade allora ai minori rom? La ricerca svolta evidenzia che la difficolt? di molti operatori nel riconoscere l?identit? del bambino rom, il suo modello educativo, porta a gravi situazioni in cui di fatto il minore non viene tutelato. I circa duecento casi riscontrati di dichiarazione di adottabilit?, infatti, denunciano un grave ?pregiudizio? (cos? come inteso dal codice civile) nel quale si troverebbe questa volta non il minore rom, ma il contesto istituzionale che ruota intorno a quella che dovrebbe essere la tutela di qualsiasi minore. Una tutela dalla quale il minore rom, paradossalmente, resta escluso.
Abbiamo quindi situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in comunit?. Una volta in comunit? il provvedimento del Tribunale dei Minorenni dispone che i minori non possano pi? incontrare i propri famigliari, fino al termine dell?istruttoria. Concretamente questo vuol dire che potr? accadere che i bambini non possano pi? incontrare i propri genitori per lunghi mesi, con gravi conseguenze nella loro relazione. Gli avvocati che seguono questi casi affermano che, probabilmente, in questi casi, il reale interesse dei vari operatori coinvolti ? di trovare il maggior numero possibile di minori per le famiglie non rom che fanno domanda di adozione. Come reagire di fronte a queste gravi denunce? Oppure abbiamo casi in cui i minori vengono allontanati dalla famiglia perch? i servizi sociali valutano che le condizioni abitative del nucleo, ovvero quelle del ?campo nomadi?, non sono adeguate alla tutela di un minore. Ancora, molte volte ci troviamo di fronte a casi di allontanamento che avvengono con molta violenza, sulla base del mero pregiudizio personale di un operatore qualunque che scrive che quel minore non ? tutelato perch? ?mangia con le mani? o ?non indossa il pigiama per andare a dormire?. Con quale presunzione noi non rom continuiamo a immaginare che il nostro modello di vita sia il migliore e quello ideale? E, soprattutto, chi lavora nel sociale non dovrebbe avere una formazione adeguata per lavorare con soggetti che appartengono a culture differenti?
Talvolta la responsabilit? della mancata tutela del minore viene data alla cultura, talaltra alle istituzioni, che non sarebbero in grado di offrire a questi nuclei situazioni abitative appropriate. In entrambi i casi, il risultato ? che non viene salvaguardato l?interesse del minore di vivere nella propria famiglia. Accadrebbe lo stesso se si trattasse di minori italiani?
Non si vuole qui escludere che possano esserci situazioni di abbandono dei minori rom, non si vuole accusare gratuitamente il lavoro degli operatori, ma si vuole mettere in evidenza la contraddizione nella quale invece cadono in molti (sia gli operatori sociali che della magistratura minorile), identificando sempre il minore rom come abbandonato, potremmo dire, ?alla? e ?dalla? sua cultura.
Possiamo aggiungere quindi che il tema attorno al quale si sviluppare questa analisi ? quello di tutela. Qual?? la nostra concezione tutela e qual?? quella dei rom?? Cosa accade al bambino rom mentre per l?operatore si sta verificando una situazione di maltrattamento? Da questo interrogativo si apre una riflessione su due aspetti:
- sulla definizione di quella che viene genericamente definita come la soglia in funzione della quale l?operatore, genericamente inteso, stabilisce che il minore si trova in una condizione di ?pregiudizio?. Una soglia viene banalmente interpretata e descritta con un criterio di tolleranza personale: per qualcuno sono i piedi scalzi, piuttosto che il furto o l?accattonaggio o l?appartenenza alla cultura rom, senza riconoscere che il ?pregiudizio? dovrebbe essere quello ravvisato specificatamente nell?interesse di ciascun minore. Quello che accade ? che i minori rom verranno segnalati all?Autorit? Giudiziaria in funzione del grado di tolleranza personale degli operatori sociali, che, come quella di molti cittadini, ? molto bassa.
- L?altro aspetto riguarda l?applicabilit? della norma giuridica italiana a un contesto culturale differente, un tema che in Italia resta poco approfondito. Al centro di quest?analisi vi ? una discussione sulla definizione dei margini dell?applicabilit? della norma giuridica a un minore il cui contesto famigliare potrebbe non riconoscere la stessa norma e le sue finalit?. In funzione di quali criteri potremo definire l?abbandono di fronte a un minore che appartiene a un contesto culturale differente da quello nel quale ? stata elaborata la norma giuridica? Alcuni magistrati portano riflessioni interessanti a questo proposito, affermando che di fronte al minore straniero occorre sempre considerare e decodificare il contesto culturale dal quale proviene, ma il tema resta ampiamente marginale nell?ambito della magistratura minorile. Il risultato ? che pochi magistrati minorili riconoscono la necessit? di decodificare il contesto culturale del minore e che in molti invece ritengono non opportuno riconoscerne la specificit? dettata dall?appartenenza culturale. Questo ? quanto emerge nell?ambito del lavoro di ricerca svolto.
Quale soluzione proporre? Frequentemente la cultura non-rom si presenta come ?egemone?, pi? forte di quella dei rom?, identificati come appartenenti a una minoranza culturale. Se davvero si riconosce come tale, la nostra cultura dovrebbe prendersi la responsabilit? di assumere fino in fondo questo ruolo, creando quegli strumenti che potrebbero anche tutelare il minore rom e la sua famiglia. Questo vorrebbe dire disporre di quegli strumenti di conoscenza che si avvicinino il pi? possibile al contesto culturale del minore, con il risultato di mettere il minore in una condizione che lo veda tutelato da entrambe le parti: per la magistratura minorile e per la sua famiglia.
Dovremo infine smettere di pensare alle cultura rom come una cultura statica e immutabile, come se i minori fossero destinati alla povert? materiale e culturale dei loro genitori. Se molti rom? oggi vivono nei ?campi nomadi? ? perch? si tratta di una chiara scelta delle amministrazioni comunali di mantenere queste comunit? in una condizione di grave precariet? sociale e civile. Se i minori rom oggi non sono tutelati e c?? un sistema giudiziario minorile che non li tutela la responsabilit? ? solo nostra. La seconda indagine ?Sottrazione di minori gag?? originariamente copriva il ventennio dal 1986 al 2005, ma per i fatti successivamente accaduti si ? protratta fino al 2007. I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall?archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, pi? prospettive: etnografica, dell?antropologia giuridica ed etnometodologica. Per dare un quadro del lavoro svolto, possiamo dire che la ricerca si ? strutturata in tre fasi: individuazione nell?archivio Ansa dei fatti di nostro interesse; studio del corpus ricavato dall?archivio Ansa per individuare i casi; lavoro sui casi: consultazione dei fascicoli processuali, ricostruzione, comparazione. Quest?ultima fase ? che partiva, appunto, dalle informazioni contenute nelle notizie Ansa ? ha avuto la sua attivit? principale nel contatto con le Forze dell?ordine, Procure e Tribunali al fine di verificare se il fatto avesse avuto un prosieguo significativo in termini penali. In caso affermativo, si ? cercato di ottenere i permessi per la visione dei fascicoli. Alcune volte, ? stato possibile avere un colloquio con il PM e con gli avvocati; in altre, la distanza temporale ha complicato questi passaggi. Per molti ? stato possibile anche raccogliere gli articoli apparsi sui giornali e anche su Internet. Nella nostra analisi prendiamo in considerazione ventinove casi, oltre undici di sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali ? da subito opportuno indicare il risultato principale della ricerca, e cio? che non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell?infante effettivamente avvenuta, ma si ? sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento. Alla confusione che generano i media al momento della denuncia del fatto, dando come provato e ?vero? il tentato rapimento, se non vi ? un arresto non corrisponde quasi mai la notizia dell?esito dell?azione delle Forze dell?ordine. Nei pochi casi in cui questo accade, la notizia non ? per comunicare che i rom non c?entrano niente, ma ? perch? l?esito scioglie in s? altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarit?. In maniera random si ? cercato anche di verificare se per i casi in cui era stata sporta denuncia, ma in cui i presunti rapitori si erano dati alla fuga, le indagini avessero risolto la vicenda in qualche modo: si tratta di un ulteriore accertamento rispetto al fatto che se non c?? stata pi? nessuna notizia in merito questo ci pu? far dire che non si era poi svolto nessun arresto. D?altra parte - come dicevamo e come alcuni casi dimostrano - laddove le Forze dell?ordine tramite le proprie indagini verificano che ? stato solo un equivoco, una percezione errata della situazione, la stampa ne d? poca o nessuna notizia. La comparazione dei casi ci ha aperto a strade particolarmente significative, attraverso le quali si sono potuti individuare gli elementi cardine dei racconti dei tentati rapimenti, che sono pochi e si ripetono come un frame, un canovaccio concettuale con poche varianti: ad esempio, nella grande maggioranza, si tratta di ?donne contro donne? ossia ? la madre ad accusare una donna rom di aver tentato di prendere il bambino; non ci sono testimoni del fatto, tranne i diretti interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali; nessuno interviene in soccorso della madre; non di rado appare la paura che vi sia uno ?scopo oscuro del rapimento? per cui la presenza di alcuni mezzi e persone nelle vicinanze vengono interpretate dalle madri (o da altre figure) come complici della zingara (ma i controlli lo smentiscono regolarmente).
L?analisi comparativa dei casi, infine, ci porta a poter affermare che laddove vi ? la presenza di un infante, l?avvicinamento di una persona rom ? subito vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo stereotipo ?gli zingari rubano i bambini? risulta essere molto pi? potente di qualsiasi altro. Non si ha paura, infatti, che sottraggano il portafogli o la borsa (secondo lo schema mentale ?gli zingari rubano?), ma che portino via il bambino. Dai ventinove, estrapoliamo i sei casi che hanno portato all?apertura del procedimento e dell?azione penale, che rappresentano il cuore del lavoro di ricerca e che nel testo vengono presentati e discussi uno ad uno in particolar modo attraverso i fascicoli processuali. Si tratta di:
Desenzano del Garda (Brescia) 02/12/1996. Sentenza di colpevolezza [art. 56 c.p. (delitto tentato) art.605 c.p. (sequestro di persona)]. Castelvolturno (Caserta) 18/01/1997. Sentenza di assoluzione perch? il fatto non sussiste. Minturno (Latina) 30/08/1997. Archiviazione del caso. Roma 10/10/2001. [Sentenza di colpevolezza art. 56 c.p. (delitto tentato) art. 574 c.p. (sottrazione di persone incapaci)]. Lecco 04/02/2005 (il procedimento penale ? in corso ? II grado). Firenze 25/10/2005 (il procedimento penale ? in corso ? I grado, il PM nell?ultima udienza del 17 ottobre 2008 ha chiesto l?assoluzione).
Lo sguardo critico proprio della disciplina antropologica fa emergere dalle carte e dalle aule del tribunale l?utilizzo delle categorie del senso comune da parte degli operatori del diritto come base attraverso cui adattare la categorizzazione prevista nei codici alle circostanze del caso e la costruzione della credibilit? dei testimoni nella quale assume un forte peso la capacit? retorica delle due parti, intesa anzitutto come coerenza interna del discorso quale testimonianza dell?accaduto. Il tutto retto anche da un ?ragionevole? assunto iniziale: la madre non avrebbe nessun motivo per accusare la zingara di un atto non compiuto, in pratica non avrebbe alcun senso che la madre si fosse inventata tutto, per cui quello che ella dice ? di partenza da considerarsi in qualche modo ?vero?. Non dobbiamo scordarci che ci troviamo davanti a persone appartenenti a gruppi socialmente e giuridicamente deboli: non solo persone immigrate, ma soprattutto e in primo luogo rom (ma chiamati sempre nomadi) e nella maggior parte dei casi ?sedicenti?. Addirittura nella sentenza di Brescia si legge che la pericolosit? sociale della donna ? ?in una con la sua condizione di nomade?. Allo stesso modo per il caso di Roma, non ha nessun peso il fatto che il certificato dei carichi pendenti dell?imputata risulti negativo: la sua condizione di nomade sedicente basta ? secondo il giudice - a renderla pericolosa e capace di commettere azioni criminose. Il fatto di essere definite nomadi, giustifica di per s? nei confronti delle imputate qualsiasi decisione a tutela della collettivit?. Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di bambini (11 casi analizzati), nella maggioranza molto noti all?opinione pubblica, abbiamo ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti sospetti e gli esiti degli accertamenti che derivavo dall?attivit? investigativa (sempre negativi). La drammaticit? delle vicende di queste sparizioni si rende ancora pi? acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l?epilogo: l?opposizione fra ci? che ? accaduto realmente a questi bambini e l?immaginario stereotipico del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante. Questi bambini sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove vivevano: pedofili, conoscenti, parenti. Anche a partire da questo, il forte invito ? quello di allargare il nostro sguardo, interrogarci e riflettere maggiormente su noi stessi (sempre che questo noi cos? netto esista...).
Le autrici della ricerca Carlotta Saletti Salza, dottore di ricerca in Antropologia ottenuto presso la Facultat de Ci?ncies Humanes i Socials ? Departament d?Hist?ria, Geografia i Art ? di Castell?n de la Plana (Spagna). Svolge da svariati anni attivit? di ricerca presso Fondazioni e Univerist?. Ha condotto ricerca etnografica tra le comunit? xoraxan? a Torino e in Bosnia su tematiche relative all?educazione famigliare e scolastica e sulla rappresentazione della morte. Sabrina Tosi Cambini, dottore di ricerca in Metodologie della ricerca etno-antropologica presso l?Universit? degli Studi di Siena, svolge da svariati anni attivit? di ricerca presso Fondazioni, Istituti e Universit?; ? stata operatrice di strada e da tempo coordina progetti sperimentali di lavoro sociale. Attualmente ? docente a contratto di Antropologia culturale presso l?Universit? degli Studi di Firenze e di Antropologia sociale presso l?Universit? degli Studi di Verona. (10/11/2008-ITL/ITNET)
|
Altri prodotti editoriali
Contatti
|