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ITALIANI. ITALIANI ALL'ESTERO - ACLI " 80 ANNI: UNA STORIA DI TUTTI". PRES. ACLI MANFREDONIA: "ARRIVARE AD UN NUOVO TRATTATO DI HELSINKI...A ROMA DURANTE IL GIUBILEO DELLA SPERANZA".

(2024-11-29)

Tra il 26 e il 28 agosto del 1944, a Santa Maria sopra Minerva a Roma, nascono le Acli.

Nascono dopo il fascismo, che aveva proibito la libera associazione, dopo la guerra, con il suo portato di devastazioni e macerie. Nascono dalla Resistenza, che aveva sostenuto e animato il desiderio di una vita giusta in un paese libero. Nascono dal sogno di donne e uomini che credevano fermamente nella democrazia e nella Repubblica. Nascono dal lavoro e dall’impegno delle nostre madri e padri costituenti.

Le Acli sono il piccolo circolo di periferia; la sede provinciale e gli sportelli a cui le persone chiedono di tutto; sono nelle strade e nelle piazze e nelle tante attività che ogni giorno animano le nostre sedi; sono i volti dei soci e dei volontari; sono nella musica, nella terra e vicini alle fragilità; sono nella formazione; sono dentro le risposte ai diritti inespressi; sono dentro l’indignazione che si fa proposta; sono nei cammini per la pace e accanto alle famiglie.

Le Acli hanno attraversato la storia del nostro paese contribuendo, nel tempo, alla sua realizzazione. Lo hanno fatto da credenti consapevoli del proprio compito nello spirito della fede incarnata. Continuano ad esserci per ascoltare e rispondere con azioni di giustizia alle disuguaglianze che abitano ancora oggi la vita delle persone.

Ed oggi sono arrivate agli ottanta anni!  proiettate verso il futuro. un complendo che sarà festeggiato nel corso di tutto l'anno,  in Italia e all’estero, dando voce alle diverse anime che compongono il mondo aclista." così l'introduzione alla manifestazione tenuta stamane a Roma all'Auditorio di via della Conciliazione alla presenza del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella

"Illustrissimo Presidente della Repubblica, è un onore averla qui oggi, è un dono grande che abbia accettato il nostro invito. La sua persona rappresenta con la più alta dignità l’unità nazionale nella Repubblica, quella Repubblica che le Acli, gli aclisti, in questi ottant’anni, hanno sempre cercato di promuovere, sostenere, rafforzare."

....Presidente, come ha potuto ascoltare la storia che abbiamo contribuito ad accompagnare, e forse anche un po’ a salvare, è quella dei piccoli borghi, delle periferie delle nostre città e delle periferie esistenziali di molti cittadini. Storie che non parlano di successi ma si immergono nella sofferenza, nei dubbi, nelle fragilità....  Il nostro impegno è formare uomini e donne riconoscibili nella fedeltà alle piccole cose, che sanno stare nei dettagli della vita delle persone. Fedeli a chi è scartato da questa competitiva società o addirittura è invisibile. La nostra azione associativa è e deve essere un coro, una sinfonia di piccoli gesti di quotidiana fedeltà. Fedeltà alle tante persone che si accostano ai nostri servizi per esigere diritti, fedeltà ai nostri ragazzi e adulti che..... In questa attenzione, e in particolare ai più vulnerabili, si manifesta la nostra vera fedeltà alla democrazia, che non la si difende solo a parole ma nella capacità di leggere i fenomeni che impoveriscono la società e rendono la vita di molti meno dignitosa.

Continuiamo a preferire la faticosa democrazia alla facile via della cooptazione e del leaderismo. Ne sono testimoni gli aclisti che si impegnano nelle amministrazioni locali, a servizio delle comunità.
Continuiamo ad essere fedeli al mondo del lavoro, che non studiamo soltanto con ricerche e pubblicazioni (per altro molto valide), ma nelle relazioni feriali, partendo da quello che incontriamo quando è precario, vulnerabile, mal pagato e non garantisce una vita libera e dignitosa. Quando davanti a un lavoro povero di relazioni in cui la persona è merce, ne promuoviamo uno solidale sostenuto da imprese in un’economia giusta. Fedeli, quando denunciano infortuni e scarsa sicurezza. Un lavoro sicuro è questione di giustizia e di democrazia.

Insomma, come avrebbe detto il nostro amato Presidente Giovanni Bianchi “per noi la fedeltà alla democrazia significa presenza attiva nelle sue vicende, capacità di iniziativa, di cogliere i mutamenti, di farsi soggetto di processo”.  E così le Acli hanno contribuito con passione e tenacia allo sviluppo democratico del Paese e alla formazione del suo Stato sociale a partire dai principi fondamentali della Costituzione Repubblicana.

Nate subito dopo il Patto di Roma come corrente cristiana del sindacato unitario, le Acli sono cresciute tra le macerie fisiche e spirituali di un Paese che usciva dalla catastrofe della guerra e della dittatura.
L’Italia si trovava ad un bivio: doveva scegliere l’odio o la faticosa costruzione di nuovi legami. Fu scelta la
democrazia e la ricerca della giustizia sociale. Lo avevano ben chiaro i nostri Padri costituenti, che dopo la
Liberazione trovarono nel personalismo comunitario la pietra angolare della casa comune....

Nei decenni in cui l’Italia si è trasformata, anche le Acli sono cambiate. Hanno assunto nuove missioni, nuove responsabilità. Hanno allargato il campo dei servizi forniti alle persone. E hanno continuato a pensare, elaborare, anche sospinte dal provvidenziale vento del Concilio. Le Acli hanno animato la propria vita cristiana mentre si battevano per i diritti, per l’equità, per contrastare le povertà.

La laicità è stata per noi lo spazio del bene comune e della responsabilità da condividere.  Lo abbiamo fatto ponendo come nostra via maestra la Costituzione; infatti, solo rendendola effettiva nella vita delle persone il Paese può progredire. Essa è la via maestra che tiene insieme la nostra democrazia stabilendo i limiti di chi esercita il potere; perché riconosce l’imperfezione delle strutture pubbliche, gli squilibri economici e sociali, e indica il percorso per correggerli.

Da almeno un trentennio si parla di modifiche alla Costituzione con risultati miseri, e talvolta nocivi. Se ne
parla con crescente spirito polemico, fino a pretendere di cambiarne parti a colpi di maggioranza. La seconda parte della Costituzione è divenuta bersaglio di una delegittimazione che ha finito per alimentare l’antipolitica e che rischia di aprire il varco per un attacco all’intero impianto e ai principi fondamentali.

Il carattere rigido – e non flessibile - della Costituzione non è semplicemente una garanzia formale, ma è una qualità preziosa che attiene all’unità del Paese. La Costituzione è lo scrigno che contiene i valori condivisi di un popolo; come parte sociale ci adoperiamo perché trovino piena attuazione e migliorino la vita dei nostri concittadini.

Signor Presidente, per questo anno sociale abbiamo scelto come slogan della nostra attività: “il Coraggio della Pace”.

Oggi, ci raggela il cuore vedere come tanti fratelli muoiono nel Mediterraneo, ci fa arrabbiare vedere rinnovate le ingiustizie tra i pochi che accumulano rendite e chi non riesce a trovare un lavoro decente. Ci lascia inquieto un mondo dove i giovani vengono parcheggiati e non possono scatenare i propri talenti.

L’ingiustizia creata dalla finanza speculativa ci fa orrore. Siamo spaventati dei gemiti di sofferenza della nostra madre terra. Siamo preoccupati da un mondo nel quale le differenze sono diventate diffidenze, nel quale è presente un forte pessimismo sul progresso sociale ed economico garantito dalla democrazia. Ci offusca la vista la costruzione di nuovi muri che separano le persone.

In questo mondo dove è più facile sentirsi sconfitti vogliamo gridare a tutti: abbiate coraggio.
La parola coraggio vuol dire proprio l’azione del cuore. Dobbiamo far funzionare il cuore, amare questa società, darle fiducia oltre ogni limite e difficoltà. In questo tempo sentiamo fortemente che occorre coraggio anche a costo di andare controcorrente.

Da cittadini e da cristiani impegnati nel sociale affermiamo che non è più il tempo di mediazioni al ribasso ma è il tempo di stare in questo mondo portando fraternità dove c’è divisione, agendo la solidarietà dove c’è solo la rendita personale, è il tempo di scelte consapevoli personali e comunitarie per correggere le nostre abitudini che hanno violentato il pianeta. Coraggio nell’appoggiare sistemi democratici favorendo la partecipazione. E, prima di ogni altra cosa, avere il coraggio della Pace.

Sentiamo che di fronte al proliferare delle guerre e alla fatica di interromperle, la nostra Europa ha un compito importante. Può e deve assumere una responsabilità su scala globale.

La Russia ha compiuto un’aggressione intollerabile contro un Paese e un popolo. La nostra condanna è senza riserve. Come lo è il nostro sostegno, anzitutto umano, fraterno, alla resistenza degli ucraini.

Hamas si è resa artefice di una barbarie mostruosa il 7 ottobre scorso, che ha riacceso il conflitto nella Terra santa e che ha ancor più ingigantito i giacimenti già colmi di odio.

La reazione di Israele è stata spietata, disumana. Il disprezzo per le vite innocenti è divenuto elemento di una folle strategia politica.

Nulla di tutto questo ci sfugge. Non chiudiamo gli occhi davanti alle responsabilità gravissime di chi si fa
aggressore. Ma non ci basta reagire cercando la misura – militare o economica – proporzionata alle spaventose offese al diritto internazionale, alla libertà, all’integrità degli Stati, alla vita dei popoli.

Sentiamo di dover tornare a gridare la “pace”. Non per equidistanza. Non ci sarà mai equidistanza tra aggressori e aggrediti. Mai. Ma dobbiamo dirlo: la vittoria non sarà mai militare. Dobbiamo dirlo perché è vero, ce lo dimostra questo rotolare precipitoso dei conflitti.

Dobbiamo farlo sapendo che è difficile. Che si deve lavorare su molti fronti. Chiediamo, e abbiamo chiesto con molte associazioni amiche che l’Europa ritrovi la diplomazia della Pace. Non siamo ingenui: pace non sarà mai soltanto assenza di conflitto armato eppure da lì bisognerà cominciare, dalla tregua, dal silenzio delle armi.
Se non riprendiamo la bandiera della pace (che è per le Acli la nostra seconda bandiera), se non diciamo chiaramente che la sola vittoria è la pace, rischiamo di alimentare quell’escalation a cui, purtroppo, già stiamo assistendo.

Possiamo fare qualcosa anche noi. Tutti noi per fortuna abbiamo il magistero di Papa Francesco che ci spinge a muoverci, a uscire dai luoghi protetti per dire ovunque che la pace è possibile. È una grande impresa politica, sociale, culturale. Ognuno può e deve fare qualcosa per la pace.

Noi ci siamo messi in movimento, siamo andati in Ucraina, siamo andati in Terra Santa, abbiamo ascoltato la voce di tutti, soprattutto delle vittime, le meno ascoltate rispetto a chi ha occhi fissi sulla scacchiera dei potenti. Nella cultura ebraica si dice che Dio sa contare fino ad 1. Fino ad uno, in Israele come a Gaza, in Ucraina come in Russia, in Sud Sudan come nello Yemen. E ancora uno e uno, tutti per nome.

Lei, signor presidente, disse nei primi momenti di questa sciagurata guerra che prima o poi l’Europa avrebbe dovuto rimettersi all’opera per tessere una nuova Helsinki. È lì che dobbiamo tendere partendo anche dal  basso per lavorare ad una cultura di cooperazione, di rispetto, di confronto, di condivisione dei diritti. Perché non arrivare ad un nuovo trattato di Helsinki? Magari a Roma durante il Giubileo della speranza.
Vogliamo che il 2025 sia l’anno della Pace.
Il coraggio legato alla speranza e ad una certa dose di follia ci animano. Ci hanno sempre animato, senza la pretesa di cambiare il mondo, senza avere riflettori addosso, senza la paura di sporcarci la camicia abbiamo preferito farci domande di senso, farci ferire dall’umanità e rimboccarci le maniche per curarla.

Achille Grandi alla fondazione delle Acli ebbe a dire: “non so se faremo un tentativo destinato a fallire o se
faremo un esperimento di portata storica. Abbiamo il merito di aver affrontato un grande compito.” Ecco, da ottant’anni, camminando a fianco ad un paese che è progredito, ci stiamo ancora interrogando se siamo un fallimento o se il nostro stile abbia lasciato orme da seguire su sentieri di pace, di dignità e di democrazia. Oggi chiediamo almeno una proroga di altri ottant’anni prima di darci una risposta!" Ha concluso il Presidente delle ACLI, Emiliano Manfredonia. (29/11/2024-ITL/ITNET)

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