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CONSIGLIO GENERALE ITALIANI ALL'ESTERO - ASSEMBLEA PLENARIA 2017 : RAPPRESENTANZA IN PRIMO PIANO NELLA RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE MICHELE SCHIAVONE

(2017-03-30)

  "Avrei voluto iniziare la relazione del Comitato di Presidenza sottolineando la connessione della nostra assemblea con l’evento di portata europea e mondiale, appena concluso: la sottoscrizione dei nuovi accordi di Roma sull’Europa dei 27, a 60 anni di distanza da quelli fondativi. Ma sono costretto a porre invece una questione pregiudiziale allo svolgimento di questa assemblea: l’Italia ritiene ancora importante il suo rapporto con i suoi cittadini all’estero?

Considera ancora elemento portante e fattore di promozione del Sistema Italia la struttura delle rappresentanze degli italiani all’estero, costituita dai Comites di base, il Consiglio generale degli Italiani all’estero come organismo di rappresentanza globale, sintesi e raccordo e i parlamentari eletti all’estero come espressione dell’effettivo esercizio di voto dei connazionali che vivono fuori dai confini? "

E' l'interrogativo che il Segretario Generale del CGIE, Michele Schiavone, ha nuovamente posto al Governo alla luce della "palude Stigia" nella quale il CGIE si trova finanziariamente, con un budget per il 2017 assolutamente insufficiente alla gestione degli impegni istituzionalmente previsti dalla legge istitutiva.  Un interrogativo, dunque, politico - a cui poco dopo ha risposto positivamente il Sottosegretario con delega per gli italiani all'estero del MAECI, Enzo Amendola, prima ancora che finanziario.

Al centro dei lavori dell'Assemblea, pertanto, il dibattito sulla proposta di riforma dei primi due livelli, dei Comites e del CGIE, alla quale hanno contribuito in questi mesi Comites, associazioni, Consiglieri, privati cittadini, e che sarà inviata a Governo e Parlamento.

Dopo aver ricordato l'importanza del Sessantennale dei Trattati di Roma, ed i nuovi accordi firmati dai rappresentanti dei 27 Paesi europei, stigmatizzando la presenza dei cittadini italiani partecipi di un'Europa che "ha mantenuto sessant’anni di pace e ha creato il modello di welfare più avanzato al mondo, anche per il contributo che gli emigrati e poi gli expat di questo continente hanno dato al suo sviluppo, al miglioramento dei rapporti sociali, al rafforzamento delle sue libertà civili....Schiavone non ha mancato di evidenziare "La mancanza di solidarietà sulla drammatica questione dell’immigrazione e la tendenza a limitare la libertà di circolazione" che "fanno ritenere che i movimenti dei migranti e gli organismi di rappresentanza abbiano ancora molto da dire e fare a questo proposito. Soprattutto verso una vera solidarietà e la difesa della mobilità di lavoro, professionale e di studio che non può essere ristretta senza snaturare lo spazio europeo, pur tenendo conto degli attuali problemi di sicurezza."

Schiavone ha poi ricordato come, dall’ultima assemblea plenaria del CGIE, un anno fa, sia trascorso un lunghissimo tempo politico e istituzionale. Si è tenuta una consultazione referendaria sulla riforma costituzionale, con una notevole partecipazione dei cittadini residenti all’estero; c’è stata una crisi di governo; si è verificato un avvicendamento al vertice del Ministero degli esteri e, quindi, della presidenza del CGIE; il Parlamento ha approvato la legge di bilancio del 2017 con proiezione triennale, che prevede significative misure ma anche nuovi duri tagli per gli italiani all’estero; si sono celebrati gli Stati generali della lingua italiana nel mondo; è stato presentato alle Camere il decreto attuativo sulle scuole italiane all’estero della legge 107 sulla Buona Scuola e in coincidenza dei nostri lavori, ma senza un nostro coinvolgimento, ieri proprio in questa sala si sono svolti anche gli Stati generali della formazione superiore italiana all’estero.

Schiavone ha , quindi, fatto presente come, alla luce della sentenza della Consulta e in vista della prossima scadenza elettorale generale, si è riacceso il dibattito sulla legge elettorale che ci riguarda per le implicazioni che potrebbe avere sul sistema di voto degli italiani all’estero; si sta radicalmente modificando lo scenario politico e istituzionale in Europa ed è già successo oltre Atlantico, con possibili ripercussioni sui diritti dei cittadini residenti nei Paesi di immigrazione e nuove forme di controllo dei flussi migratori."
Quindi, il Segretario del CGIE ha dichiarato la preoccupazione del CGIE per le sorti dei  connazionali in Inghilterra post Brexit e in Venezuela per le difficili condizioni di vita".

A questo proposito, ha dichiarato  Schiavone, "il Comitato di Presidenza del CGIE, io stesso e alcuni consiglieri abbiamo cercato di intervenire su queste vicende, per dare voce e tutelare gli interessi degli italiani all’estero. Ci siamo dovuti
scontrare con il crescente atteggiamento di sottovalutazione e di emarginazione della nostra rappresentanza, con la prassi di chiedere i pareri prescritti dalla legge all’ultimo momento o di non chiederli affatto, con la persistente incomprensione dell’apporto che possono dare all’Italia sia la presenza degli italiani nel mondo sia questo organismo che, in forza della sua funzione di rappresentanza “generale” di tutte le comunità, con ruolo e funzioni definiti per legge, garantisce la possibilità di fare sintesi soprattutto in questa fase di grave difficoltà economica.

Ho fatto queste considerazioni - ha affermato l'esponente del CGIE - non solo per riaffermare il diritto del CGIE ad avere il pieno rispetto della sua dignità istituzionale, ma per porre un’ineludibile questione politica: che il CGIE e i COMITES, finché ci sono leggi che li regolano, devono essere messi nella condizione di funzionare realmente."

  Ed ha proseguito "La politica e l’amministrazione pubblica sono chiamate a consultarli prima di assumere decisioni e varare provvedimenti che hanno ricadute sulle nostre comunità all’estero, in particolare quando assumono decisioni sulle alienazioni immobiliari, sui processi amministrativi, sui programmi sociali, culturali e di promozione del nostro paese. L’ennesimo taglio di fondi ai capitoli dei Comites e del CGIE impedisce a questi organismi di adempiere ai compiti
tassativamente previsti dalle loro leggi istitutive. L’assegnazione di € 299.497 copre a male a pena le spese per riunirci un’unica volta all’anno in assemblea plenaria. Per un fisiologico funzionamento del CGIE una sola assemblea plenaria senza riunioni delle Commissioni continentali non basta per esercitare pienamente il suo ruolo."

E per di più " Anche il sostegno finanziario concesso ai Comites, che quest’anno ha subito un’ulteriore riduzione del 10%, non permette nemmeno la sopravvivenza minima. Se non fosse per lo spirito di volontariato e di sacrificio della maggior parte dei loro componenti, molti sarebbero già chiusi.

Mettere questi organismi nella condizione di funzionare è quindi prioritario. Per questo ci rivolgiamo al Ministro degli esteri, nostro presidente, al governo e alla delegazione parlamentare perché si provveda a reintegrare ragionevolmente  le dotazioni di bilancio, senza aspettare la prossima legge finanziaria o altre scadenze rinviate nel tempo. Abbiamo già adottato alcune modalità di lavoro a distanza che ci consentono di mantenere una comunicazione sulle problematiche delle nostre comunità, ma per raggiungere decisioni condivise, basate sul dibattito di tutti i Consiglieri, è necessario che il CGIE possa tenere tutte le riunioni fissate dalla legge."

Quindi "Nello scontro appassionato relativo al referendum sulla riforma della Costituzione è stato ancora una volta sbattuto in prima pagina il sistema di voto dei cittadini italiani all’estero, tentando in modo strumentale di delegittimare il voto per corrispondenza fino ad ipotizzare un ricorso alla Corte costituzionale nel caso che il voto estero risultasse determinante rispetto al risultato generale. A nome di tutti i cittadini italiani all’estero ho espresso lo sdegno per questa mancanza di civiltà rispetto ad un’esperienza di partecipazione democratica che si svolge interrottamente da oltre tre lustri. Tutto può essere migliorato, ma ribadisco a nome del mondo che rappresentiamo, che non consentiremo in alcun modo di violare i diritti di cittadinanza degli italiani all’estero per tornare ad una condizione di cittadinanza dimezzata, quando il voto era un diritto garantito ma per milioni di cittadini non poteva tradursi in una reale pratica di democrazia.

La Costituzione è stata appositamente modificata all’art. 48 perché l’esercizio di questo fondamentale diritto di cittadinanza diventasse “effettivo” e nessuno pensi che si possa tornare indietro.

Abbiamo discusso di queste cose nell’incontro avuto al Senato. Partiamo da alcuni punti fermi come presupposti del confronto: la Circoscrizione Estero e il voto per corrispondenza. Su questo secondo aspetto si appuntano le critiche alla sicurezza del voto e alla sostenibilità finanziaria delle necessarie operazioni. Dobbiamo essere fermi e inflessibili sui principi, aperti e realisti sulle applicazioni pratiche. Ebbene, già parecchi si erano convinti che l’opzione diretta per il voto
potesse far aumentare i livelli di affidabilità degli elenchi dell’elettorato attivo e, nello stesso tempo, rimodulare i costi. Questa soluzione è stata ipotizzata da alcuni disegni di legge e condivisa all’interno del CGIE. Oggi, però, abbiamo vissuto la recente esperienza del rinnovo dei COMITES con l’opzione.

Il forte calo di partecipazione, soltanto in parte addebitabile a disfunzioni organizzative, leggi sulla privacy e inadeguata comunicazione, ci deve far riflettere sull’opportunità di scegliere questo metodo. Il voto per corrispondenza è adottato senza problemi in diverse democrazie avanzate, solo in Italia viene vissuto come pratica fuorviante. Il voto nei seggi sarebbe a sua volta impraticabile, alla luce delle enormi estensioni territoriali di alcuni Paesi di residenza, unita all’esiguità del numero dei Consolati e alla riduzione del personale al servizio di comunità capillarmente diffuse sul territorio. Bisogna riflettere bene su tutti gli aspetti della consultazioni politiche e referendarie prima di affondare la lama sul sistema in vigore.

La concomitanza con la discussione sulla legge elettorale nazionale dovrà mettere in sicurezza il voto regolato dalla legge 459/2001. Se si andrà, come pare, verso un sistema proporzionale, il nostro sistema di voto ha fin dalla sua origine questa impostazione e si inserirebbe con coerenza nel quadro generale. L’unico possibile campo di discussione sarebbe dunque quello procedurale, in particolare per quanto attiene alla complessità della certificazione del voto, che continua a produrre non brogli, ma un numero elevato di voti nulli. Anche su questo, tuttavia, è opportuno non essere sommari e precipitosi.

Oltre a questi aspetti, nell’incontro al Senato abbiamo avuto modo di discutere anche degli altri due livelli della rappresentanza, con riferimento alla riforma dei COMITES e del CGIE. A questo proposito voglio richiamare il serio e utile lavoro di consultazione e confronto che abbiamo fatto al nostro interno e con i Comites e Associazioni in tutto il mondo.
Ringrazio di questo l’amica Silvana Mangione che l’ha coordinato, i Vice segretari generali per la verifica con le diverse realtà continentali avvenuto in occasione delle riunioni continentali, i componenti della Commissione tematica del CGIE, e tutti coloro che hanno dato un apporto fattivo. Questo percorso di dialogo e di approfondimento ha consentito di sostanziare la nostra richiesta di riforma e di individuare alcuni nodi da sciogliere già nel corso di questa assemblea.

Voglio ribadire con forza, comunque, che il presupposto di qualsiasi intervento di riforma è assicurare a questi organismi le risorse indispensabili affinché possano svolgere efficacemente i compiti fissati dalla legge. In un momento in cui il nostro Paese deve avvalersi di reti di supporto per l’internazionalizzazione, si tratterebbe di un vero e proprio investimento virtuoso.

Il filo rosso che lega la nostra proposta è che i tre livelli di rappresentanza degli italiani all’estero – COMITES, CGIE e eletti nella circoscrizione Estero – vanno salvaguardati e consolidati, garantendo risorse adeguate, attribuendo loro funzioni precise e incisive, valorizzandone il ruolo da parte delle autorità diplomatico-consolari e legittimandoli di fronte alle autorità locali. Anche se l’estensione della rete degli organismi di base (COMITES) è uno dei punti aperti alla nostra discussione, sono convinto che essa debba essere la più capillare possibile. Nel giro di alcuni anni sono state chiuse per ragioni di contenimento di spesa oltre 60 rappresentanze dell’Italia nel mondo. Diminuire il numero dei COMITES significherebbe accentuare il senso di isolamento o di abbandono che si avverte in alcune comunità e allentare le tutele, che sia le strutture pubbliche che quelle di volontariato sociale, come le associazioni e i patronati, non riescono più a garantire come in passato.

Gli organismi di rappresentanza, devono riorientare il loro ruolo in relazione non solo alla tradizionale esigenza che le nostre comunità abbiano il loro difensore civico nei contesti nei quali sono profondamente inserite, ma anche per diventare sempre più antenne del Sistema Italia nel mondo produttivo e culturale locale e punto di riferimento e di sostegno per i nuovi flussi migratori.

La rappresentanza di base, inoltre, deve tener conto delle trasformazioni avvenute nelle nostre comunità e plasmarsi sulle forme nuove di presenza dell’italianità nel mondo. Il numero dei cittadini iscritti all’AIRE tende costantemente a crescere, sia per le richieste di riconoscimento della cittadinanza, che per la ripresa dei flussi in uscita dall’Italia, ma è altrettanto vero che anche nelle realtà di più fresca immigrazione siamo ormai alla terza generazione e che la massa degli italo discendenti tende a crescere inarrestabilmente.

  I nuovi migranti, pur in condizioni diverse dal passato, devono essere accompagnati nella sempre difficile fase dell’insediamento nelle nuove realtà di lavoro e di vita. Oltre agli aspetti quantitativi, bisogna considerare quelli qualitativi con altrettanta attenzione. L’avanzamento dei processi di integrazione nelle nostre comunità ha determinato da tempo l’emergere di figure di notevole spicco: imprenditori, manager, operatori dell’informazione, accademici, ricercatori e così via. E non si possono ignorare le questioni di riequilibrio di genere e di fasce generazionali.

Il nostro sforzo, dunque, ha proseguito Schiavone,  è quello di comprendere e far comprendere a chi deve legiferare come sia importante prima di tutto per l’Italia non rinchiudere la rappresentanza in una dimensione amministrativa sempre più asfittica, ma darle spessore e respiro attribuendole poteri reali e aprendola alle forze più vive espresse dalle stesse comunità e a quelle nuove che continuano ad arrivare dall’Italia.

Rispetto alla riforma del CGIE non intendiamo affatto difendere corporativamente il nostro stato. Dal punto di vista delle sue dimensioni, c’è già stata una riforma che ne ha ridotto di circa un terzo la composizione in nome del risparmio, legando le assegnazioni dei Consiglieri all’esclusivo criterio del numero dei cittadini iscritti all’AIRE, senza tenere alcun onto delle dimensioni territoriali e della consistenza degli italodiscendenti, del peso dei Paesi di residenza per l’internazionalizzazione dell’Italia.

Proprio l’applicazione di un unico criterio oggettivo che non tiene alcun conto di realtà molto più complesse ha prodotto un profondo squilibrio nella rappresentanza territoriale, attribuendo a 3 soli Paesi su 17 quasi un terzo dei Consiglieri eletti all’estero. Questa sperequazione non fu sanata, nonostante vi fosse già una proposta per una più equa distribuzione dei seggi tra i diversi Paesi. Un problema apertissimo, che va al più presto affrontato e superato.

Dovremo considerare, inoltre, la questione della persistenza dei componenti di nomina governativa, che da anni è oggetto di dibattito anche al nostro interno. Anche in questo caso, cercheremo di ragionarci in termini di obiettiva utilità per le nostre comunità e non di schieramenti precostituiti.

Circa la fisionomia da dare al nuovo CGIE, il documento dell’Ufficio di Presidenza integrato e approvato dalle Commissioni Continentali giustamente focalizza tre profili. Il primo è quello dei rapporti non solo di consulenza ma di più diretta collaborazione con le diverse articolazioni dello Stato, non solo all’estero. Dobbiamo certo tener conto della consolidata presenza degli eletti all’estero che hanno poteri di interlocuzione con il Governo e di sollecitazione della pubblica amministrazione di valenza costituzionale, possono incidere sui contenuti delle maggiori leggi dello Stato, ad iniziare da quelle di bilancio. Tuttavia, esistono spazi di più concreta e utile collaborazione da praticare superando qualunque diaframma di diffidenza e di trascuratezza.

Un secondo profilo riguarda il nuovo e ben promettente rapporto con le Regioni, dopo una deludente regressione, anche in materia di iniziative promozionali a livello internazionale. Credo che una sollecitazione a ripensare e a rilanciare le consulte regioni sulle migrazioni sia ormai matura. Allo stesso modo, sono convinto che il rapporto CGIE – Regioni debba essere istituzionalizzato, facendo ogni sforzo per avere una nostra presenza all’interno della Conferenza Stato – Regioni.

L’altro profilo è quello di sviluppare come organismo intermedio la funzione di raccordo tra COMITES ed eletti della circoscrizione Estero, di coordinamento a livello continentale e di rappresentazione delle diverse realtà in cui le nostre comunità sono insediate e agiscono, nonché di elaborazione di tematiche e proposte che le riguardano. Nessun altro organismo può fare sintesi come il CGIE tra le diverse realtà dell’Italia all’estero e cogliere il senso di quella varietà di situazioni che danno concretezza ed efficacia alle politiche da adottare.

Un secondo vasto campo di intervento da parte nostra riguarda il sistema di promozione della lingua e della cultura italiana all’estero. ? una realtà in forte evoluzione cui accostarsi con spirito innovativo, distinguendo tre aspetti: la riorganizzazione normativa in atto con il decreto delega del Governo sulle scuole italiane all’estero; le risorse che lo Stato pensa di destinare a questo settore; la razionalizzazione delle competenze gestionali all’interno del MAECI.

Del decreto che il Governo ha presentato al parere delle Camere e del CGIE parleremo più analiticamente quando affronteremo la ratifica, che in base alla legge l’assemblea dovrà fare del  parere espresso in via d’urgenza dal Comitato di Presidenza. Si sta sviluppando la tendenza a coordinare meglio i diversi strumenti di promozione del Sistema Italia nel mondo, intrecciando la lingua e la cultura italiana con l’offerta commerciale e la spinta del made in Italy. Non a caso oggi,
tutte le competenze dell’articolato campo della promozione, sono riunificate dal punto di vista gestionale in una sola Direzione generale del MAECI e un tavolo di concertazione interministeriale lavora sistematicamente a sviluppare il coordinamento tra diversi soggetti.

In questa sala abbiamo più volte riaffermato l’autonomia della cultura e della lingua italiana come fattori di civilizzazione e di confronto interculturale, ma abbiamo più volte insistito affinché l’Italia si presentasse nel mondo con l’insieme e la forza delle sue molteplici potenzialità, dal successo del made in Italy alla forza della sua grande cultura, dal suo patrimonio storico-artistico al riconoscimento della sua inesauribile creatività.
Il decreto che ci è stato presentato, anche per il palese limite dei criteri di delega, piuttosto timidi e restrittivi, si è posto fin dall’inizio come un rimpasto normativo di tutte le leggi che si sono succedute nel tempo, come una messa a punto delle scuole italiane all’estero e una rivisitazione della regolamentazione dei rapporti con il personale scolastico di ruolo inviato all’estero dopo il ridimensionamento del contingente dovuto all’applicazione della spending review decisa nel 2012.

Una proposta, dunque, ancora lontana dalla riforma strutturale e organica ipotizzata dallo stesso CGIE e inviata alla riflessione dei gruppi parlamentari. Nonostante ciò, abbiamo accettato di entrare nel merito della proposta, di cercare di modificarne l’impostazione e di colmarne le lacune più vistose. Sia nel parere dell’Ufficio di Presidenza che in occasione della duplice audizione svolta in Parlamento, ci siamo concentrati su questi punti:

1) Richiamare l’anacronistica divaricazione tra un provvedimento centrato sulle scuole italiane all’estero e la realtà di un sistema formativo italiano all’estero, che con il tempo si è articolato in una grande varietà di canali e di esperienze,
modellati sulle profonde differenze geopolitiche, sociali, culturali e normative dei contesti locali;

2) insistere sull’esigenza di superare una visione unidirezionale della cultura e della formazione italiana nel mondo, nel senso di concepirle solo in uscita dall’Italia, rivendicando una visione interculturale e bidirezionale degli scambi educativi in modo che anche il sistema italiano si apra e recepisca stimoli di altre realtà nelle quali gli italiani nel mondo sono ormai parte attiva e dinamica;

3) chiedere con forza la citazione degli enti gestori invece della generica definizione (“soggetti senza fini di lucro”) in cui il decreto accomunava diversi soggetti attivi nella promozione della lingua e delle cultura italiana nel mondo. In particolare, su quest’ultimo aspetto – il riconoscimento e la valorizzazione della funzione degli enti gestori – siamo stati, sia nel parere che nelle consultazioni, molto fermi e diretti, non solo perché sul piano formativo essi rappresentano il
legame più profondo con la grande esperienza storica dell’emigrazione italiana, ma soprattutto perché essi hanno dimostrato sul campo la loro capacità di integrarsi nei sistemi scolastici locali e di corrispondere nel modo più diffuso a una moderna domanda formativa attenta alle pratiche interculturali e al bi/plurilinguismo. ? questo l’aspetto qualificante prodotto negli anni dagli italiani all’estero: la formazione di formatori di cultura italiana nei luoghi d’insegnamento verso i quali si denota grande diffidenza.

I pareri approvati dalle Commissioni esteri e cultura sia della Camera che del Senato hanno raccolto compiutamente queste nostre istanze e alcune di quelle avanzate dai sindacati, soprattutto in tema di scuole statali e di personale di ruolo. Un passaggio significativo, inoltre, è costituito dalla richiesta di un tavolo permanente di coordinamento, la famosa “cabina di regia” di ultradecennale memoria, che però è stato limitato a MIUR e a MAECI, mentre sarebbe stato
opportuno coinvolgere anche il MIBACT e il Ministero per lo sviluppo economico. Ci sono state date anche assicurazioni che nella stesura finale del decreto le condizioni e le raccomandazioni poste dalle Commissioni parlamentari saranno positivamente considerate, procedendo alle modifiche e alle integrazioni suggerite.

  Per quanto ci riguarda, ringraziamo per l’attenzione e la disponibilità i parlamentari con i quali abbiamo utilmente interloquito, ma per un giudizio definitivo aspettiamo di vedere il testo finale del decreto che il Governo dovrebbe emanare a breve.

L’aspetto più delicato è quello delle risorse disponibili in questo campo, in particolare nel settore dei corsi di lingua e cultura italiana. A questo proposito ci sono un’importante novità e una triste conferma di cui discutere. La triste conferma è l’iniziale dimezzamento di bilancio dei fondi del capitolo 3153 destinati ai corsi degli enti gestori. Sono anni che accade e solo attraverso il prezioso impegno emendativo dei parlamentari eletti all’estero, assecondati dal Governo, si è riusciti a difendere la spesa storica consolidata di 12 milioni di euro. Quest’anno la scalata è stata ancora più ripida perché il punto di partenza era più basso, meno di 6 milioni di euro. Un emendamento approvato alla legge di bilancio ha consentito di recuperare 4 dei 6 mancanti e ci sono state date assicurazioni, sia a livello parlamentare che di governo, di ottenerne altri due nel corso di questo esercizio, come è già accaduto lo scorso anno con l’assestamento di bilancio.

La novità importante, nella legge finanziaria, è la creazione di un fondo quadriennale per la lingua e la cultura italiana all’estero, annunciato dall’allora Presidente Matteo Renzi agli Stati generali di Firenze, poi inserito effettivamente nel bilancio dello Stato. La richiesta di riduzione della spesa avanzata dall’Unione europea ci preoccupa perché sappiamo bene quali siano le vittime predestinate quando si tratta di applicare dei tagli in questo ministero. Tuttavia, la messa a
disposizione di 150 milioni in quattro anni, da ripartire su proposta del MAECI, previa intesa con il MIUR, il MIBACT e il MEF, rappresenta una svolta che ci deve trovare pronti a valutare e proporre.

A questo proposito, voglio dire chiaramente che per i corsi degli enti gestori già dalla prima tranche di 20 milioni per il 2017 non ci si può fermare alla reintegrazione dei 2 milioni e rotti che mancano all’appello, ma è necessario dare un segnale politico di reale inversione di tendenza in questo settore, andando al di là dei 12 milioni degli ultimi anni, che non sono una dotazione ottimale ma una trincea di resistenza. Nello stesso tempo, è indispensabile intervenire strutturalmente sul capitolo 3153 modificando una volta per tutte le poste nel bilancio triennale in modo che non si debba ogni anno ricominciare da capo e affidarsi alla girandola emendativa della discussione parlamentare. Sarebbe grave se parte di questi interventi fossero affidati a soggetti terzi da quelli oggi interessati, come è emerso in maniera palese nel dibattito sul decreto 383 al Senato.

Voglio accennare, infine, alla nuova prospettiva organizzativa che nasce dallo spostamento di uffici e personale addetti ai corsi di lingua e cultura dalla Direzione per gli italiani all’estero alla Direzione per la promozione del Sistema Paese. L’aspetto positivo del trasferimento di competenze consiste nel realizzare una unificazione organica di tutti gli strumenti della promozione linguistico-culturale all’estero e una connessione diretta tra questo tipo di promozione e quella economica e commerciale. Una delle idee fondanti della nostra proposta di strutturale riforma del settore era proprio quella di avere un solo volto dell’Italia nella sua proiezione globale. Tuttavia, ho il timore, che i corsi di lingua nella nuova allocazione possano diventare un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. Spero che il Ministro, che interverrà domani e i
responsabili amministrativi vogliano dare, con i fatti più che con le parole, assicurazioni al riguardo.

Nella legge di bilancio dello Stato per il 2017 sono comparse altre novità non trascurabili, riguardanti il sostegno alla rete delle Camere di commercio italiane all’estero, finalmente considerate come un volano di promozione del made in Italy e di integrazione economica e commerciale nei contesti locali, e il sempre delicato tema dei servizi consolari.

Ha trovato finalmente sbocco la richiesta avanzata da nostri parlamentari e sostenuta da petizioni popolari e altre iniziative anche più recenti, la richiesta di destinare una parte dei fondi derivanti dai 300 euro sulla cittadinanza al miglioramento dei servizi prestati ai nostri connazionali. Salutiamo positivamente questo primo passo in una giusta direzione, ma non ci bastano gli annunci. Vorremmo sapere dall’Amministrazione se i 4 milioni previsti sino stati già trasferiti dal MEF al MAECI e in quali tempi e in quali forme saranno poi dal MAECI trasferiti ai consolati e soprattutto impiegati per rafforzare la dotazione di personale e migliorare concretamente i servizi.

Concludo richiamando due questioni che hanno per noi un notevole interesse strategico: prima di tutto i decreti applicativi della nuova legge sull’editoria, che comprende anche la parte sull’editoria italiana all’estero. Nei criteri di delega, anche per l’attento intervento dei parlamentari eletti all’estero, è stato inserito il mandato al Governo di considerare le peculiarità di questa preziosa attività, che incide quotidianamente sulla vita delle nostre comunità e sui loro rapporti con l’Italia, sulla preservazione della nostra lingua e cultura, sulla trasmissione delle informazioni necessarie
ad esercitare consapevolmente il diritto di voto. Si tratta di vedere come questo indirizzo sia stato tradotto nei decreti di imminente presentazione. La nostra Commissione tematica ha sottolineato che questa è l’occasione per fare anche una messa a punto complessiva del settore e per questo ha proposto di avere un momento di verifica e approfondimento da realizzare con un seminario finalizzato a questo scopo.

Vorrei chiudere con il riferimento all’impegno che il CGIE sta profondendo sull’essenziale tema delle nuove mobilità e della nuova emigrazione. Abbiamo avuto ieri alla Camera, alla presenza del Ministro Poletti, la presentazione di una seria ricerca fatta da un istituto specializzato affidabile e discuteremo l’altrettanto serio lavoro fatto dalla nostra Commissione tematica. Mi piace sottolineare, tuttavia, che il CGIE ha aperto decisamente il cantiere dell’analisi e delle proposte su
questo nuovo solco che ha segnato la società italiana negli anni di crisi e che persiste anche in questa fase di tendenziale ripresa. Con il duplice segno da un lato della partecipazione ad un irreversibile e positivo processo di internazionalizzazione delle giovani generazioni e dall’altro della necessità di cercare opportunità di lavoro e di vita che la società italiana non riesce ad offrire né sul piano quantitativo né su quello qualitativo.

Voglio dire che il CGIE con questo suo modo di approcciare le questioni aperte, sulle quali spesso ci si limita ad evocazioni senza soluzioni, dimostra con evidenza due tratti fondamentali del suo ruolo: la sensibilità per il nuovo e la capacità di analizzarne gli aspetti per arrivare a proposte concrete e la persistente utilità di un organismo di rappresentanza e di tutela capace di raccogliere problemi, esigenze e attese di chi imbocca la strada dell’emigrazione per accompagnarli nel cammino, mettendo i pubblici poteri di fronte alle loro responsabilità di intervenire presto ed efficacemente. Sono certo che quanto più queste due dimensioni – la capacità di rinnovarsi e la fermezza nell’adempiere al ruolo di difesa e rappresentanza - si salderanno tra loro, tanto più gli organismi di rappresentanza, di cui invochiamo la riforma, saranno riconosciuti in Italia e all’estero." ha concluso il Segretario Generale del CGIE, Michele Schiavone.(30/04/2017-ITL/ITNET)

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