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ECONOMIA ITALIANA - INDICATORI ECONOMICI REGISTRANO DA MESI SCOSSE... AL SINDACATO UN RUOLO DETERMINANTE...SENZA AZIONE DI CONTROLLO NON AVRA' LUOGO CAMBIAMENTO AUSPICATO"

(2020-08-06)

  L'Economia italiana e le sue variabili impazzite al centro di una riflessione sui possibili sviluppi ed il ruolo determinante che il sindacato ha in questa partita sono al centro di un'analisi a cura  di Giuliano Ferrucci pubblicato dalla Fondazione di Vittorio.

"Tra il 2015 e il 2019, anni che avrebbero dovuto segnare la ripresa dalla grande recessione iniziata
nella seconda metà del 2008, abbiamo dovuto accontentarci di incrementi del prodotto molto
modesti, che collocavano il nostro Paese agli ultimi posti in Europa: il tasso di variazione del Pil è
prima salito fino a +1,5% nel 2017 e poi sceso fino al misero +0,3% dell’anno scorso, con i primi,
tangibili segnali di una nuova recessione: eravamo condannati alla “dittatura dello zero virgola” 1

Nel volgere di pochi mesi, a metà 2020, il quadro economico e sociale delineato nel Rapporto
Annuale dall’Istituto di Statistica è completamente stravolto: al rallentamento dell’economia
osservato nella seconda metà del 2019 si è infatti sovrapposto l’impatto devastante della crisi
sanitaria, con il PIL che avrebbe segnato, nei primi due trimestri dell’anno, un crollo congiunturale
senza precedenti, del 5,4% e del 12,4% rispettivamente (il primo numero consolidato con successive
correzioni al rialzo, il secondo suscettibile di significativi ritocchi). La variazione acquisita a luglio per
il 2020, riferisce l’Istat, è -14,3%2 … Non c’è dubbio che la stagione dello “zero virgola” sia
effettivamente finita!

Sui  tassi di variazione del Pil nei primi due trimestri dell’anno nelle principali economie del mondo: questa volta l’Italia è in buona compagnia, con Francia, Spagna e Regno Unito che fanno anche peggio, e la Cina che recupera già nel secondo trimestre l’intera posta perduta nel primo. Gli Stati Uniti, dal canto loro, perdono nei primi 6 mesi dell’anno quasi un decimo della ricchezza prodotta, comunque meno di quanto abbiano perso in media i Paesi dell’Eurozona (più del 15%).

L’Istat e molti altri Istituti di ricerca, pubblici e privati, valutano diversamente il crollo della
produzione di beni e servizi e correggono continuamente, sulla base delle nuove informazioni via
via disponibili, le stime proposte per il prossimo futuro.

La Commissione Europea ha prima previsto una contrazione del prodotto interno lordo italiano pari
a -9,5% nel 2020 (con una ripresa l’anno successivo del +6,5%) quindi ha corretto la stima nelle più
recenti previsioni estive portandola a -11,0%, la peggiore all'interno dell'Unione, con un rimbalzo
nel 2021 del +6,1%. "Le previsioni economiche d'estate ci mostrano che la strada per la ripresa è
ancora lastricata di incertezza" ha commentato il commissario Ue per l'Economia, Paolo Gentiloni.

Nelle stime di aggiornamento del World Economic Outlook presentato a giugno a cura del Fmi, l’Italia
è ultima in classifica per variazione del Pil: -12,8% nel 2020 e +6,3% nel 2021.

Secondo le previsioni dell’OCSE, formulate anch’esse nel mese di giugno, in Italia il Pil dovrebbe
perdere in un anno l’11,3% del suo valore, per poi risalire nel 21 del 7,7%; ma in caso di nuovo
lockdown il crollo potrebbe toccare -14,0% nel 2020 e la ripresa l’anno successivo essere meno
marcata, del 5,3%.

E poi c’è il governo italiano che ad aprile, nella nota di aggiornamento al DEF, prevedeva una
flessione del Pil di 8 punti percentuali nel 2020 e un rimbalzo del 4,7% nel 2021 (una valutazione
considerata allora prudenziale per il rischio del protrarsi della crisi pandemica fino all’inizio del
prossimo anno). E poi c’è Banca Italia che a giugno peggiora le stime del governo: “Il prodotto interno
lordo italiano quest'anno dovrebbe calare del 9,2%, ma di fronte a circostanze avverse, come il
protrarsi dell'epidemia e l'esplosione di nuovi focolai, il calo potrebbe raggiungere il 13,1%”.
Se consideriamo che un punto di PIL vale quasi 17 miliardi, comprendiamo la portata delle variazioni
osservate e di quelle stimate, nonché delle differenze tra le stime … e lo sconcerto che suscitano in
tutti noi, abituati allo “zero virgola”.

Tutti gli indicatori economici registrano da mesi scosse inaudite, come un sismografo impazzito: i
segnali più recenti riferiscono inflazione negativa , contrazione degli occupati, massiccio ricorso agli
ammortizzatori sociali, marcata diminuzione della forza lavoro e caduta del tasso di attività. Dal
mercato del lavoro vengono numeri che non siamo abituati a trattare: si riduce notevolmente la
platea degli occupati (-459 mila persone nel secondo trimestre, in larga maggioranza dipendenti a
termine), nonostante il blocco dei licenziamenti e la contestuale esplosione della cassa integrazione,
ordinaria e in deroga, e dei fondi di solidarietà, con incrementi del numero di ore autorizzate fuori
scala anche rispetto alle misure adottate negli anni della crisi iniziata nel 2008. E moltissimi tra i
disoccupati cadono nell’inattività perché costretti a rinunciare anche alla ricerca di un lavoro, con il
risultato paradossale di un tasso di disoccupazione in picchiata nei mesi del lockdown (ad aprile
sceso fino al 6,3% e a giugno ancora relativamente basso, pari a 8,8%).

È un terremoto che cambia d’imperio, improvvisamente, i paradigmi consolidati delle politiche di
bilancio (che in Italia abbiamo scolpito nella Costituzione!), abbatte in un colpo il muro dell’austerità
che pareva invalicabile, apre la strada a nuove possibili traiettorie di sviluppo. Dopo anni di tenaci
resistenze, di fronte alla prospettiva di una catastrofe economica e sociale senza precedenti, anche
i più accaniti sostenitori del fiscal compact hanno dovuto riconoscere la necessità di un radicale
cambiamento di rotta. Col Recovery Fund l’Europa unita si impegna per la prima volta a finanziare,
con emissione di titoli di debito comune, la ripresa economica degli Stati più in difficoltà,
accompagnando l’uscita dalla crisi con altri programmi di sostegno (quali SURE, Support to mitigate
Unemployment Risks in Emergency) e sostanziose iniezioni di liquidità da parte della BCE.

È solo una parentesi, le politiche del rigore sono solo sospese, ma la pandemia potrebbe avere
intaccato antiche convinzioni incoraggiando, per la prima volta dopo molti anni di torpore, un
approccio radicale orientato alla solidarietà e al superamento delle disuguaglianze che affliggono il
nostro e gli altri Paesi d’Europa. È una straordinaria opportunità per aprire una stagione di grandi
investimenti pubblici e privati che, insieme alla crescita, garantiscano giustizia sociale e tutela
ambientale, dando vita ad un nuovo sistema di relazioni economiche e sociali. Perché lo stato di
3 Ma se e la statistica riferisce la sostanziale stabilità dei prezzi, la percezione dei consumatori è un’altra, per il sensibile aumento, negli ultimi 4 mesi, dei prezzi dei beni di largo consumo, del così detto «carrello della spesa».

La fotografia del mercato del lavoro scattata dall’Istat nel Rapporto annuale presentato in luglio
mostra un Paese in grande difficoltà, attraversato da disuguaglianze crescenti: nel 2019 l’incidenza
della povertà assoluta persisteva su valori molto alti, solo parzialmente ridimensionati col reddito di
cittadinanza (6,4% quella familiare, 7,7% quella individuale), mentre la classe sociale di origine
influiva ancora in misura rilevante sulle prospettive di vita dei singoli individui.

I giovani, il Mezzogiorno e i meno istruiti non avevano ancora recuperato i livelli e i tassi di occupazione del 2008. Tra i giovani di 25-34 anni, in particolare, gli occupati erano circa 1 milione e 400 mila in meno
rispetto ad 11 anni prima e il relativo tasso di occupazione aveva perso 7,6 punti percentuali.
In un Paese nel quale 2,1 milioni di famiglie e più di 6 milioni di persone sono coinvolte in lavori
irregolari, le donne e i giovani sono più esposti al rischio di vivere una condizione di segregazione
occupazionale, svolgere mansioni di basso profilo, avere un impiego precario e retribuzioni inferiori
alla media, soprattutto nel Mezzogiorno.

Il ritorno dell’Italia allo sviluppo implica allora il venir meno della possibilità di pagare salari non
dignitosi e di lavorare in nero; richiede la creazione di buoni lavori, rimuovendo gli ostacoli che
impediscono alle persone di avere le stesse opportunità e coinvolgendo lavoratori e comunità locali
nei processi decisionali dell’impresa; impone una convinta accelerazione della green economy e la
definizione del ruolo strategico delle grandi imprese pubbliche che, sfruttando il notevole potenziale
di innovazione digitale ancora inespresso, si facciano motore della transizione ecologica nei campi
energetico e della mobilità; comporta il libero accesso alla conoscenza e un grande investimento
finanziario ed organizzativo nella scuola e nelle università.

In questa partita, evidentemente, il sindacato svolge un ruolo chiave, determinante, perché senza
una costante azione di controllo, proposta e mobilitazione non ha luogo il cambiamento auspicato,
non si realizza il riequilibrio dei poteri, non si intraprende la strada dell’emancipazione sociale di cui
il Paese e la sua democrazia hanno vivo bisogno." (06/08/2020-ITL/ITNET)

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