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IMMIGRAZIONE - CONFINI UE BILINDATI - VON DER LEYEN A KASTANIES :"NOSTRA PRIORITA' IN GRECIA E' PRESERVARE L'ORDINE AI CONFINI ESTERNI"

(2020-03-04)

"La nostra priorità in Grecia è preservare l’ordine ai confini esterni dell’Ue”. Sono queste le parole pronunciate ieri dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Kastanies, un piccolo paesino greco a meno di un chilometro dal confine con la Turchia. Parole che suonano drasticamente diverse da quel famoso “possiamo farcela” pronunciato da Angela Merkel il 31 agosto 2015, nei mesi caldi del grande esodo che avrebbe portato circa un milione di migranti e richiedenti asilo in Europa."  A ricordarlo è Matteo Villa, ricercatore dell'ISPI.

"All’epoca, prosegue,  von der Leyen era ancora ministro della Difesa nel governo Merkel. Già allora fervevano le discussioni sulle misure d’emergenza da adottare per dare una risposta comune alla crisi migratoria, che tra il 2013 e la prima metà del 2015 sembrava riguardare soprattutto l’Italia. Accanto ai tentativi di ridurre i flussi irregolari (con il lancio del Trust fund per l’Africa e il rafforzamento dei rimpatri) c’erano però proposte che andavano nel senso di una maggiore solidarietà tra paesi europei e di una gestione umanitaria dell’emergenza.

Dal lato della solidarietà interna, si proponevano quote nazionali per redistribuire i richiedenti asilo che arrivavano in Italia e Grecia anche negli altri stati membri, in modo che ciascun paese potesse dare il suo contributo in termini di accoglienza. Da quello, invece, della risposta umanitaria campeggiava su tutto l’imperativo del salvataggio in mare, tanto che gli stessi stati Ue imbastivano operazioni per soccorrere decine di migliaia di migranti e portarli in salvo sulle coste europee, mettendo a disposizione le proprie unità navali.

Oggi, è evidente, i tempi sono cambiati. Mentre la presidente della Commissione europea pronunciava il suo discorso, dall’altra parte del confine tra le 10.000 e le 20.000 persone tentavano di entrare irregolarmente in Europa, incalzate dalle parole del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che settimana scorsa ha dichiarato “aperte” le frontiere verso la Grecia. Quello di 20.000 persone è un numero certo non paragonabile al milione di migranti del 2015-2016. Eppure la risposta è arrivata immediatamente, con una missione straordinaria dei tre “presidenti europei”: von der Leyen (Commissione), David Sassoli (Parlamento) e Charles Michel (Consiglio europeo). I tre sono volati in Grecia per portare la loro solidarietà al governo di Atene il quale, a sua volta, aveva appena deciso di sospendere per un mese il diritto di presentare domanda d’asilo (non era mai successo, neppure nel 2015). E si sono recati in Grecia mentre imperversava un’altra emergenza: lo sbarco in Europa – questo sì, un pericolo, anche se invisibile – del coronavirus.

La risposta dell’Europa, quella di blindare subito i confini e dimostrarsi inflessibile con potenziali rifugiati al di là della frontiera, è il simbolo perfetto degli scarsissimi passi avanti (e dei molti indietro) che si sono compiuti negli ultimi anni sul fronte migratorio. Con il collasso della solidarietà intraeuropea e la scelta di concentrarsi sull’unica risposta che è parso funzionare, almeno nel breve periodo: chiedere ai paesi non Ue lungo le rotte dei migranti di fare di tutto per impedire che venissero attraversati in direzione del Vecchio continente. Dai 27 stati membri non è arrivata nessun’altra risposta: né sul fronte di una maggiore apertura dei canali regolari di ingresso, né da quella di una maggiore gestione a livello europeo del diritto d’asilo. Eppure ci sarebbe stato tutto il tempo, visto che è da almeno dalla metà del 2017 che i flussi irregolari verso l’Ue sono crollati. Ma, forse, una risposta si è scelto consapevolmente di non darla.

Non è forse un caso che ancora oggi sulle isole greche si trovino 42.000 persone, ammassate in uno spazio che potrebbe accoglierne un sesto. E non è un caso se Erdogan abbia scelto l’arma dei migranti per colpire l’Unione su un nervo scoperto, esponendone le ipocrisie. Dichiarando aperto il confine turco verso la Grecia, Erdogan ha scatenato una reazione securitaria dell’Unione europea che gli permette sia di ricattare i 27, intimoriti, sia di sostenere – a ragione – di non essere il solo a credere che migranti e richiedenti asilo siano un problema.

Tuttavia, con questa mossa cinica, che ha messo a rischio le persone più vulnerabili in pieno inverno spingendole verso confini che credevano aperti e che invece trovano chiusi, Erdogan potrebbe aver fatto un favore all’Europa. Perché mentre è probabile che questa emergenza rientrerà, non sarà l’ultima. La crisi è il segnale che sulle politiche migratorie l’Europa continua a non riuscire a dare risposte strutturali, ma è anche il campanello d’allarme che dimostra come queste risposte siano assolutamente essenziali. È ora che l’Ue si svegli e, una volta passata l’emergenza sanitaria, si concentri su una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi decenni. Che si trova appena al di là delle frontiere europee, e che l’Europa, per anni, ha deciso di ignorare." conclude il ricercatore.(04/03/2020-ITL/ITNET)

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