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ITALIANI ALL'ESTERO - CITTADINANZA - I FIGLI DI GARIBALDI SONO ITALIANI ? AD AFFRONTARE L'INTERROGATIVO E' L'ON.FUCSIA NISSOLI

(2019-06-17)

"Italiani i figli di Garibaldi ?  l'interrogativo se lo pone America Oggi in un articolo a firma dell'on. Fucsia Nissoli Fitzgerald  in cui riapre il dibattito sullo JUS Soli e Jus Sanguinis

"Forse questa domanda sembra strana. Come sarebbe strano se qualcuno affermasse che i figli di Giuseppe Garibaldi non sono italiani. Ma i figli di Garibaldi non sono nati prima dell’unificazione d’Italia? Sì, è vero, ma è anche vero che tutti coloro che sono nati prima del 17.03.1861 all’estero, sono italiani dalla data in cui il loro stato preunitario è entrato a far parte del Regno. Garibaldi trascorse tanti anni all’estero e, durante il suo periodo d’esilio in America meridionale, sua moglie diede alla luce quattro figli, Domenico Menotti Garibaldi nel 1840 in Brasile, e poi rispettivamente Rosa (1843), Teresa (1845) e Ricciotti Garibaldi nati in Montevideo, Uruguay. Quest’ultimo morì a Riofreddo il 17 luglio 1924 pensando di essere un cittadino italiano ma lo era davvero? All’epoca vigeva in molti paesi del vecchio continente il principio di trasmissione della cittadinanza  per il diritto di sangue anche noto come ius sanguinis. È un sistema  d’identità nazionale legato non al luogo di nascita ma alla famiglia di appartenenza. Una persona può nascere ovunque ma ogni persona nasce come parte di una famiglia, cioè il mattone fondamentale su cui è costruita la nostra società. L’importanza della famiglia e la protezione di essa come obbligo dello stato fa anche parte della Costituzione italiana (vedi Art. 31). Il codice civile del 1865 privilegiava l’unicità della cittadinanza in capo alla persona. L’unicità della cittadinanza non era una proibizione alla cittadinanza plurima ma la dipendenza delle sorti della cittadinanza del figlio minore da quelle del padre. Il figlio non può non avere la stessa cittadinanza del padre per ovvie ragioni mai messe in dubbio prima di pochi mesi fa.

Infatti, recentemente mi sono arrivati diversi messaggi dagli italiani residenti negli USA (in più di una circoscrizione consolare) preoccupati da un cambiamento brusco (così affermano loro) di interpretazione del Codice civile del 1865 per quanto riguarda la perdita della cittadinanza italiana.
Si tratta di un’interpretazione molto restrittiva in cui ai figli di cittadini italiani nati all’estero prima del 30.6.1912 in nazioni, in cui si applica, in materia di cittadinanza, il criterio di ius soli (cittadinanza acquistata per automatismo con una nascita avvenuta entro il territorio nazionale) non è mai stata trasmessa la cittadinanza italiana per filiazione. In apparenza questa nuova interpretazione può sembrare di poco conto, poiché parliamo di eventi accaduti molti anni fa ma sono le eventuali conseguenze nel presente che fanno preoccupare.

Non parlo soltanto dei richiedenti il riconoscimento della cittadinanza italiana, lesi da questa interpretazione perché non avrebbero più i requisiti per presentare l’istanza qualora abbiano un ascendente nato in una nazione iure soli prima del 30/6/1912. Ci sono tante persone, anche personaggi ben conosciuti in Italia che vedranno messo in dubbio il loro status civitatis. Persone come Luca Zaia, l’attuale Presidente della Regione Veneto in quanto nipote di Enrico Zaia, nato in Brasile nel 1897, quindici anni prima della legge 555 del 1912.

Qualcuno ha affermato che vi siano cambiamenti nell’interpretazione della legge per riconoscere la cittadinanza italiana ma, a quanto mi risulta da fonti attendibili, il MAECI non ha mai diramato alcuna istruzione agli Uffici Consolari all’estero circa nuove interpretazioni del codice civile. Infatti, per le pratiche di cittadinanza iure sanguinis valgono le medesime istruzioni operative dettate dalle vigenti Circolari (peraltro non emanate dalla Farnesina come, in particolare, la Circolare K-28 del Viminale).

Il Ministero dell’Interno, nel 2003, nel libro “la cittadinanza italiana”, in merito alla trasmissione della cittadinanza stessa si esprimeva come segue: “Si rileva a tal fine che tra le norme che si sono succedute negli ultimi 90 anni non vi è soluzione di continuità nell'istituto dell'attribuzione della cittadinanza al titolo originario, e quindi dal 1912, ma anche precedentemente con il codice, può essere considerato italiano il discendente del cittadino [italiano] pur essendo nato all'estero e ivi sempre residente”.

Questa interpretazione concorda pienamente con la prassi seguita sin ora e che contempla migliaia di trascrizioni di figli di italiani nati in Argentina, Brasile o Stati Uniti prima dell’ 1/7/1912. Su questo non ci sono mai state obiezioni e questi signori sono, oggi, a pieno titolo cittadini italiani, iure sanguinis. Inoltre, ricordo che la trascrizione è sempre stata una conseguenza della trasmissione della cittadinanza e mai il contrario. Nelle trascrizioni dell’atto di nascita manca l’annotazione che questi bambini hanno "recuperato" o "riacquistato" la cittadinanza italiana, perché sono sempre stati considerati italiani fin dalla nascita. Perché queste stesse persone sono state obbligate con la legge n. 538 del 1910 a fare la leva e hanno combattuto nell'esercito italiano, se non erano italiani? È chiaro che il legislatore, non ha mai pensato alla perdita di cittadinanza.

La perdita menzionata nell’articolo 11 comma 2 del CC 1865 si riferiva a una persona emancipata e di maggiore età, capace di “ottenere” una cittadinanza straniera, cioè richiedere per domanda la concessione della cittadinanza per libera scelta. Un neonato non può trovarsi senza la cittadinanza dei genitori a causa di una legge di un paese estero che automaticamente attribuisce la cittadinanza per il semplice fatto di essere nati nel loro paese senza la possibilità di rifiuto.

Recentemente vi è stata un po’ di confusione interpretativa sulla trasmissione della cittadinanza italiana per i nati prima del 1912 ma credo che tutto tornerà alla normalità in quanto non vi è alcuna nota da parte del Ministero degli Affari Esteri concernente un cambiamento nell’interpretazione fino ad ora adottata dagli Uffici consolari. Si tratta solo di un metodo di lavoro assunto dai funzionari che per i casi più complessi avranno ritenuto di prendere più tempo e comunque sempre nel rispetto dei termini di legge.
Allora, direi che i figli di Garibaldi possiamo continuare a pensarli italiani!". (17/06/2019-ITL/ITNET)

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