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CULTURA ITALIANA NEL MONDO -WEKEEND ITALIA- OPERE DEL MAESTRO DELL'ARTE NEW POP ITALIANA GIUSEPPE VENEZIANO A MASSA

(2019-01-30)

  Nel Palazzo Ducale di Massa, dal 2 al 24 febbraio 2019, saranno esposte le opere pittoriche di Giuseppe Veneziano, artista siciliano che si muove al confine tra realtà e finzione, dove figurazione pop e citazione colta veicolano storie del passato, del presente e del futuro.

Patrocinata dal Comune di Massa e curata da Ivan Quaroni, l’esposizione sarà inaugurata sabato 2 febbraio alle ore 18.00.

Il titolo della mostra, Storytelling, allude ad un’idea di narrazione profondamente connaturata alla ricerca dell’artista. «Le sue storie – spiega il curatore – sono sempre aperte a molteplici interpretazioni. Attraverso l’immediata riconoscibilità di un soggetto che gioca sull’antinomia realtà/finzione, coniugando sacro e profano, figure storiche e personaggi dei cartoon, citazione colta e immaginario consumistico tipico della Pop Art, Veneziano provoca lo spettatore facendo uso di sottile ironia per indurre una seria riflessione sulla società in cui viviamo».

Il percorso espositivo comprende oltre quaranta opere ad acrilico su tela di vari formati, tutte provenienti da collezioni private. Un excursus attraverso la ricerca dell’artista degli ultimi dieci anni, comprensivo anche di alcuni dipinti mai esposti prima in Italia.

Giuseppe Veneziano nasce a Mazzarino (CL) nel 1971. Dalla critica e dalle riviste di settore è riconosciuto come uno dei massimi esponenti della New Pop italiana e Internazionale e del gruppo Italian Newbrow, teorizzato da Ivan Quaroni. Nel 2018 è uscita la monografia Giuseppe Veneziano. Mash-Up, edita da Skira.

Sull'artista alle prese con la sua prima mostra a Monaco di Baviera riportiamo quanto scrittto dal critico Ivan Quaroni:
Ho incontrato Giuseppe Veneziano la prima volta durante l’inaugurazione di una mostra alla galleria di Antonio Colombo a Milano. Della mostra non mi ricordo, ma di lui si. Cercava un curatore per la sua personale da Luciano Inga Pin, il gallerista che in Italia aveva lanciato Gina Pane e Marina Abramovic, e così mi chiese se ero interessato alla cosa. Non avevo idea di chi fosse, anche se avrei dovuto sapere che una sua opera, qualche tempo prima, aveva guadagnato la copertina di Flash Art con l’immagine di Maurizio Cattelan impiccato. Quella copertina era una specie di contrappasso per l’artista che nel 2004 aveva appeso tre bambini-fantoccio sull’albero di Piazza XXIV maggio a Milano. Il ritratto era parte di una serie di dipinti che raffiguravano personaggi controversi come Osama Bin Laden e lo scrittore Andrea G. Pinketts, che l’artista aveva esposto sulla facciata del famoso Le Trottoir, storico covo di bohémien e aspiranti artisti e scrittori.

Quella sera di dicembre del 2005, accettai l’incarico, scoprendo poi che qualche minuto prima aveva chiesto la stessa cosa a una mia collega. Così, ci ritrovammo in due a curare quella che fu la sua prima e famigerata mostra in una galleria milanese: American Beauty. Posso dire di aver iniziato a capire chi fosse Giuseppe Veneziano solo dopo, quando andai a trovarlo in uno scialbo studio alla periferia di Milano. Dei suoi quadri mi era piaciuto subito lo stile semplice e immediato, pieno di riferimenti alla cultura pop e ai fumetti e il modo in cui dipingeva personaggi riconoscibili che appartenevano all’immaginario di massa.

American Beauty fu una bomba lanciata sul pruriginoso e benpensante mondo dell’arte contemporanea, ma non solo. La mostra fu accompagnata da uno stuolo di polemiche e contestazioni generate da un’opera in particolare: il grande ritratto di Oriana Fallaci decapitata intitolato Occidente, Occidente. La scrittrice non la prese bene e si scagliò contro l’artista sulle pagine del Corriere della Sera, di Libero e perfino del New Yorker e al dibattito parteciparono anche il Premio Nobel Dario Fò, i critici d’arte Philippe Daverio e Flavio Caroli e il fotografo Oliviero Toscani. Ci fu addirittura una manifestazione di protesta dell’associazione Sos Italia davanti alla sede della galleria in via Pontaccio. Per la stampa fu una benedizione. Le principali testate giornalistiche si gettarono sulla notizia, strumentalizzando l’opera di Veneziano per fomentare lo scandalo. In pochi ebbero l’intelligenza di capire che l’artista non voleva augurare la morte a Oriana Fallaci, ma far riflettere il pubblico sulle paure che il mondo occidentale nutriva verso il fondamentalismo islamico. American Beauty, tra l’altro, era anche il titolo di una serie di tele che rappresentavano le torture dei soldati americani sui detenuti iracheni nella prigione di Abu Ghraib. A queste si aggiungevano opere come Zio Sam, Statua della Libertà e 9/11, che registravano il generale clima di rabbia e terrore che esacerbava gli animi della società americana ed europea. In molti pensarono che l’artista fosse un provocatore e che lo scandalo fosse stato architettato ad arte per ottenere la massima esposizione mediatica. Veneziano, invece, si era limitato a fare quel che aveva sempre fatto: osservare la società in modo critico e mettere in dubbio ogni forma di verità precostituita. D’altra parte, si era fatto le ossa come vignettista del Giornale di Sicilia ed era abituato a commentare i fatti di cronaca con ironia e distacco. La politica, il sesso, la religione erano stati, fin dall’inizio, i temi della sua pittura, insieme alla tendenza a mescolare personaggi reali e fittizi per dimostrare quanto fosse labile il confine tra verità e fantasia. La sua intenzione era sempre stata quella di suscitare, attraverso le sue opere, un dibattito, cioè facendo discutere il pubblico e incoraggiandolo a mantenere un atteggiamento critico nei confronti della realtà.
Occidente occidente, 2005, acrilico su tela, 157x157 cm

Occidente occidente, 2005, acrilico su tela, 157×157 cm.

Forse per questo è spesso stato definito come una sorta di “cronista dell’arte”. Anche se in Veneziano c’è molto di più. Ci sono, per esempio, le sue passioni culturali, musicali, letterarie e cinematografiche. C’è il fumetto d’autore che, ben prima di laurearsi in Architettura a Palermo, aveva sorretto le sue ambizioni di disegnatore. Le storie di Manara, Crepax, Giardino, Liberatore, ma soprattutto di quel geniaccio di Pazienza avevano nutrito l’immaginario di Veneziano per tutti gli anni della sua formazione, plasmando in lui l’idea che l’arte sarebbe stata la sua strada. Infatti, dopo l’apprendistato dall’architetto Glauco Gresleri a Bologna e l’avviamento di un proprio studio in Sicilia, Veneziano aveva deciso di cambiare rotta e tentare la fortuna come artista a Milano.

Self-Portrait, la seconda mostra di Giuseppe Veneziano, si presentava come un riassunto della sua Bildung culturale, un autoritratto attraverso le passioni giovanili che, implicitamente, faceva l’occhiolino a Prolisseide. Tutti gli uomini importanti che mi hanno conosciuto di Andrea Pazienza. La mostra raccoglieva una serie di ritratti di personaggi illustri che avevano avuto un ruolo nella sua formazione. Sulla scorta di uno scritto autobiografico – intitolato Dalle seghe all’arte – Veneziano celebrava la propria mitografia adolescenziale con l’espediente del ritratto in absentia, un po’ come aveva fatto Giuseppe Pontiggia nel romanzo La grande sera, fornendo uno spaccato di cultura generazionale come non se ne vedeva dai tempi del Weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli.

Veneziano sceglieva “di dipingere con il suo stile piatto e ostentatamente pop, personaggi riconoscibili alla stragrande maggioranza delle persone (o quasi), in modo da instaurare, fin da subito, un rapporto immediato con gli spettatori” e, allo stesso tempo, aveva “il coraggio di mescolare il sacro col profano, affiancando figure di intellettuali mitici come Baudelaire e Dalì con personaggi del più puro trash mass-mediatico quali Rambo e Cicciolina”. [1] Curiosamente, l’artista partiva dalle proprie esperienze, dai propri gusti e passioni, ma approdava inevitabilmente alla dimensione collettiva, sociale, politica o mediatica che fosse.

Con l’intensificarsi dei nostri rapporti, aumentarono le nostre comuni occasioni espositive. Il 2007 fu l’anno della mostra Rivoluzione d’Agosto in cui appariva chiaro che i suoi interessi iconografici includevano anche la storia in generale e la storia dell’arte in particolare. Il Secolo breve, con i suoi dittatori, iniziava a diventare un tema ricorrente nella sua pittura. I grandi leader comunisti, come Lenin, Stalin e Che Guevara, così come i simboli delle dittature fasciste e naziste, comparivano accanto ai feticci della società dei consumi. Mao, il grande timoniere, vestiva occhiali Dolce & Gabbana, Che Guevara diventava un eroe psichedelico, mentre Stalin diventava una ieratica icona ortodossa. Con ironia, Veneziano registrava il definitivo passaggio a un’epoca post-ideologica, che diluiva le contrapposizioni politiche del Novecento nel concentrato pop e surreale della società liquido-moderna teorizzata da Bauman. In fondo, l’artista non faceva che ratificare le previsioni di Lyotard sull’appiattimento tra cultura alta e cultura bassa. Come osservava Luca Beatrice l’anno successivo, in occasione della mostra Pregiudizio Universale, “non è colpa sua se l’arte oggi considera Cattelan un eroe e Beuys un cimelio storico, se la cronaca la spunta sempre sulla politica, se le terze pagine dei giornali raccontano di Paris Hilton, se la storia del ‘900 è diventata una macchietta post-ideologica con i dittatori nel ruolo di capocomici”.[2]

La crasi operata da Veneziano tra realtà e finzione e tra storia e modernità, coinvolgeva anche l’arte antica e moderna in una pletora di dissacranti accostamenti che fondevano Velasquez con Biancaneve, Guido Reni con Maurizio Cattelan, Salvador Dalì con Jessica Rabbit, la Madonna con l’Uomo Ragno. L’associazione tra arte e supereroi non era una novità. Nel 2006, accogliendo il mio invito a partecipare alla mostra Crisis. Il declino del supereroe[3], Veneziano si era cimentato in una nuova interpretazione di Made in Heaven, la conturbante serie di opere di Jeff Koons con Ilona Staller. Per l’occasione, Veneziano aveva sostituito l’artista americano con Spiderman, il più umano dei supereroi della Marvel. Da quel momento in avanti, gli eroi in calzamaglia, sarebbero entrati stabilmente nell’armamentario iconico dell’artista siciliano, integrandosi nel tessuto citazionistico di un linguaggio fatto di colori piatti e tinte zuccherine.

Nelle interviste di quegli anni, l’artista dichiarava spesso che l’opera d’arte non è un oggetto d’arredamento, ma qualcosa che serve a suscitare delle reazioni nello spettatore, generando giudizi contrastanti. Dopo la Fallaci decapitata, un’altra opera era destinata a confermare l’attitudine critica della sua pittura e a validarne la qualità previsionale e profetica. Nel 2009, infatti, Veneziano dipinse uno dei suoi lavori più controversi, Novecento. L’opera, una tela di grandi dimensioni, era una perfetta allegoria dell’eterno rapporto tra sesso e potere e anticipava di un soffio il sexgate che di lì a poco tempo avrebbe travolto il Presidente del Consiglio italiano. Berlusconi vi era rappresentato insieme ai più grandi dittatori della storia (Hitler, Mussolini e Stalin) in un’orgia con la porno star Cicciolina e con un nugolo d’eroine da cartoon come Candy Candy, Eva Kant, Jessica Rabbit e Valentina di Crepax. L’anno dopo, l’opera finì sulla copertina del libro di Paolo Guzzanti, La mignottocrazia. La sera andavamo a ministre (Alberti editore), un saggio sulla storia politica italiana attraverso l’immagine delle donne.

Il 2009 fu un anno cruciale anche per altre ragioni. Prima fra tutte la fondazione di Italian Newbrow, il gruppo di artisti italiani che – con Giuseppe Veneziano – s’impegnava a perseguire, contro tutti i concettualismi e gli snobismi del sistema dell’arte, la linea di una pittura figurativa chiara e comprensibile, che non rinunciava alla possibilità di raccontare storie. Il 14 maggio, il gruppo esordì alla quarta edizione della Biennale di Praga. Alla fine dell anno il gruppo fu esposto in blocco ad Art Verona dalla Galleria Carini & Donatini. In quell’occasione, Veneziano espose uno dei suoi lavori più importanti, La Madonna del Terzo Reich. Il dipinto, una dissacrante rivisitazione della Piccola Madonna Cowper di Raffaello, rappresentava la Vergine con in braccio un piccolo Adolf Hitler. I giornali presero la palla al balzo e scatenarono il solito inferno mediatico. Dopo le proteste del sindaco, del vescovo e della comunità ebraica di Verona, il gallerista si vide costretto a ritirare l’opera. A difesa di Veneziano intervenne solo lo scrittore Aldo Busi, facendosi fotografare con indosso la t-shirt con la riproduzione dell’opera. Lo scandalo di Verona, però, non era che l’antipasto di quanto sarebbe successo dieci mesi dopo a Pietrasanta, durante la prima retrospettiva dedicata all’artista siciliano. La mostra, intitolata Zeitgeist, era suddivisa in sei sezioni che raggruppavano le opere in gruppi tematici: In-Visi (con i ritratti del primo periodo, tra cui quello della Fallaci); Novecento (con l’opera omonima e quelle dedicate a dittatori e personaggi politici); Eretica (con la Madonna del Terzo Reich e tutti i dipinti legati all’icnografia sacra); Il declino del supereroe (con gli eroi in calzamaglia); Modern Love (sull’amore e il sesso); infine Villains (con ritratti dei cattivi dei fumetti). Per il manifesto della mostra, patrocinata dal comune di Pietrasanta negli spazi di Palazzo Panichi, si scelse La Madonna del Terzo Reich. I giornali cannibalizzarono la notizia, sulla scia delle vive proteste del parroco di Pietrasanta, che aveva informato anche il vescovo di Lucca e l’arcivescovo di Pisa. La mostra venne addirittura bandita dalla curia e agli ingressi di tutte le chiese comparve un avviso che invitava i fedeli a non visitare l’esposizione. Ancor prima dell’inaugurazione il clima di tensione era palpabile, tanto che il Comune decise di ritirare il patrocinio della mostra. La sera dell’opening, il 17 luglio 2010, la piazza prospiciente Palazzo Panichi era presidiata da vigili e carabinieri. Il vicequestore e alcuni poliziotti in borghese si mescolarono tra il pubblico dei visitatori per valutare la eventuale chiusura dell’esposizione. Incredibilmente, a salvare la situazione fu la scoperta da parte dell’artista e del vicequestore della comune passione per il fumettista Andrea Pazienza. Quella stessa sera, nella piazza del Duomo di Pietrasanta fu fatto “levitare” Il Cristo dei palloncini, una scultura in poliuretano espanso legata a palloncini gonfiati con elio. Fu la prima opera tridimensionale di Veneziano.

Per tutta la durata della mostra, visitata da quasi diecimila persone, le polemiche non accennarono a sopirsi. Nel dibattito mediatico intervennero anche lo scrittore Andrea G. Pinketts, il giornalista Giampiero Mughini e i critici d’arte Achille Bonito Oliva e Vittorio Sgarbi. Quest’ultimo, allora sindaco di Salemi, decise di ospitare l’intera mostra nella cittadina siciliana. Il vero coup de theatre, però, fu l’acquisto della Madonna del Terzo Reich da parte del gallerista Stefano Contini e il conseguente ingresso dell’artista nella scuderia della sua galleria. Il 28 maggio 2011, infatti, Veneziano inaugurò alla galleria veneziana la mostra La surreale cronistoria del reale, mentre contemporaneamente partecipava alla 54° edizione della Biennale di Venezia. La sua opera, esposta nel Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi e intitolata Solitamente vesto Prada, rappresentava un Cristo crocifisso con underwear griffato Dolce & Gabbana. Il dipinto, peraltro inserito nel catalogo ufficiale della manifestazione, fu notato dai due celebri stilisti che in seguito divennero suoi entusiasti collezionisti e sostenitori. L’anno seguente, nella mostra pubblica del gruppo Italian Newbrow al Fortino di Forte dei Marmi, Veneziano presentò una serie di opere sull’iconografia del male. “Nella sua reiterata e pendolare oscillazione tra realtà e finzione”, annotavo nel catalogo, “la pittura di Giuseppe Veneziano affronta il tema del male sotto il profilo dell’ambiguità e del travestimento”.[4]La maschera delle apparenze, come codice comunicativo che adombra la menzogna e la violenza, era un soggetto centrale di molte sue opere. Faceva parte della mostra anche David’s Renaissance, una monumentale scultura in bronzo dipinto, in cui il tema rinascimentale del David si fondeva con l’iconografia consumistica di Ronald McDonald, clown simbolo di una famosa catena di fast-food. Inutile dire che le polemiche non tardarono ad arrivare, ma questa volta la scultura, posta in una delle piazze più frequentate della cittadina versiliana, attirò soprattutto famiglie e bambini, desiderosi d’immortalarsi davanti alla testa mozzata del celebre pagliaccio. Come spesso avviene con le opere di Veneziano, il pubblico si divise: le autorità e la stampa cavalcarono la polemica, i visitatori e la gente comune si godettero lo spettacolo. La mostra Italian Newbrow. Cattive compagnie, promossa dal Comune di Forte dei Marmi e dalla Fondazione Villa Bertelli, fu una delle più viste nel periodo estivo. Tra i visitatori Vip c’era lo stilista britannico Paul Smith, che s’innamorò delle opere di Veneziano. David’s Renaissance ebbe il merito di catalizzare l’attenzione del pubblico, rafforzando l’idea di un’arte che si rifaceva apertamente ai maestri del passato, pur adattandone i contenuti al contesto attuale. Il Rinascimento è da sempre un modello di riferimento imprescindibile per Giuseppe Veneziano, come testimoniano molte sue opere ispirate a Dürer, Raffaello, Michelangelo, Botticelli o Leonardo. Non è un caso che l’artista abbia spesso parlato della necessità di inaugurare un nuovo Rinascimento dell’arte italiana, capace di recuperare orgogliosamente le proprie origini culturali e contemporaneamente d’interpretare le contraddizioni del presente. Nei suoi lavori, Storia e cronaca, arte colta e cultura popolare, passato e presente concorrono alla creazione di una visione pittorica originale, allo stesso tempo pop e profondamente italiana. Fu per questo motivo che l’anno successivo invitai Veneziano tra i sessanta artisti italiani della Prima Biennale Italia-Cina alla Villa Reale di Monza. La sua capacità di rappresentare la contemporaneità nella sua accezione globale, pur mantenendo un vivo rapporto con le sue origini culturali, d’altra parte era uno dei tratti salienti del suo lavoro. Basti pensare all’installazione temporanea Innocenti evasioni, realizzata nel 2015 al Belvedere Marconi di Enna, per accorgersi di come l’artista abbia saputo “fondere” l’immaginario pop e disneyano con la tradizione dolciaria siciliana. La sua sensuale Biancaneve in scala reale, pigramente immersa in una piscina gonfiabile attorniata dai sette nani, era, infatti, una scultura di zucchero destinata a sciogliersi sotto il sole d’agosto.

Dopo David’s Renaissence, l’artista capì di poter adattare il suo linguaggio pittorico alla scultura, all’installazione ambientale e perfino alla street art. Nel novembre dello stesso anno, in occasione della mostra diffusa Pop Re-Generation, Veneziano fu invitato a eseguire un dipinto murale nel centro di Pordenone. Il soggetto dell’opera era un Vincent Van Gogh calato nei nostri giorni, sorpreso nell’atto di dipingere con la bomboletta spray uno dei i suoi celebri Girasoli. Van Gogh, una delle icone preferite di Veneziano, cui aveva persino dedicato un articolo sulle misteriose circostanze della sua morte[5], venne qui trasformato in un moderno writer. L’anno dopo, Chiara Canali ed io chiedemmo a Veneziano di realizzare un intervento sulla facciata del Teatro Sociale di Como, nella centralissima piazza Verdi per la quinta edizione di Streetscape, una manifestazione di urban art. Il suo progetto, intitolato Todo modo, adattava alla facciata neoclassica dell’edificio una selezione d’immagini del suo immaginario pittorico.

È, però, del 2017, l’opera tridimensionale più ambiziosa dell’artista. White slave, ancora una sensuale Biancaneve, viene scolpita, questa volta, nella purezza del marmo statuario di Carrara. Esposta a Palazzo Crespi a Milano durante la Design Week, in pendant con il dipinto omonimo da cui è tratto il soggetto, l’opera rappresenta una Biancaneve seduta sulla celebre Sedia Panton con le braccia legate dietro lo schienale. L’accostamento di uno dei simboli del design internazionale con l’icona disneyana, è, ancora una volta, un suo tipico esempio di mash up iconografico.

Oggi, mentre l’artista è intento a ultimare le ultime sculture da inviare alla galleria Kronsbein di Monaco di Baviera per quella che è, a tutti gli effetti, la sua prima mostra personale all’estero, ripensando a questi nostri dieci anni e più di collaborazione, agli entusiasmi e alle delusioni, alle discussioni e alle liti che ci hanno tenuti vivi e vigili in questo roboante mondo dell’arte, posso affermare, in tutta sincerità, che Giuseppe Veneziano è uno degli artisti più importanti della sua generazione. L’unico che abbia saputo superare i confini elitari del Sistema dell’arte, per farsi intendere da un pubblico più vasto, ma non per questo meno sensibile alla bellezza.
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Giuseppe Veneziano è nato nel 1971 a Mazzarino. Vive a Riesi (CL) fino all'età di 18 anni. Si laurea in Architettura all'Università di Palermo nel 1996. L'anno successivo si trasferisce a Bologna e collabora con lo studio di architettura Glauco Gresleri. Nel 1998 ritorna a Riesi e apre uno studio di architettura. Parallelamente all'attività di architetto realizza vignette, illustrazioni e fumetti per alcuni quotidiani (Giornale di Sicilia, La Sicilia), per la rivista “Stilos” e per la Casa Editrice “Il capitello”.

Dal 2000 al 2002 è Docente di Storia dell'Arte e Direttore Didattico dell'Accademia di Belle Arti “Giorgio de Chirico” di Riesi.

Nel 2002 si trasferisce definitivamente a Milano per dedicarsi esclusivamente alla pittura e all'insegnamento.

La sua prima mostra risale al 2004 grazie alla conoscenza dello scrittore Andrea G. Pinketts che lo invita ad esporre presso il locale milanese “Le Trottoir”. Durante i giorni di preparazione della mostra, l'artista Maurizio Cattelan realizza la sua installazione dei bambini/fantoccio impiccati alla quercia antistante al locale. Giuseppe Veneziano inserisce come ultima opera della mostra, il ritratto di Cattelan con un cappio al collo e lo appende allo stesso ramo dell'albero dove pochi giorni prima l'artista padovano aveva realizzato la sua installazione. L'opera viene notata dai media che ne danno la notizia e dalla rivista di settore “Flash Art” che la pubblica in copertina.

Nel 2006 realizza, presso i locali della prestigiosa e storica galleria “Luciano Inga Pin", la mostra dal Titolo: “American Beauty”. Tra le opere esposte ce n'è una che ritrae la scrittrice Oriana Fallaci decapitata che desta subito scandalo. La mostra diventa oggetto di dibattito mediatico e intervengono personalità del calibro di Dario Fò, Oliviero Toscani, il Ministro Calderoli, Giulio Andreotti. Lucia Annunziata sulla “Stampa” e Renato Farina su “Libero” scrivono diversi editoriali. Tra i critici d'arte intervengono Philippe Daverio e Flavio Caroli. Anche la stessa scrittrice Oriana Fallaci scrive diversi articoli (su Libero e New Yorker) invitando i magistrati a inquisire il pittore per istigazione all'omicidio. La mostra viene presa di mira anche da alcuni blog americani come esempio di un sentimento anti-americano da parte dell'Europa.

Nel 2007 viene invitato alla VI Biennale di San Pietroburgo; nel 2008 rappresenta l’ltalia insieme ad altri venti artisti nella mostra “Artâthlos” in occasione dei XXXIX Giochi Olimpici di Pechino; nel 2009 partecipa alla IV Biennale d'arte di Praga.

Nel 2009 avvengono due episodi che riportano Veneziano sotto i riflettori dei media nazionali. Il primo riguarda un'opera dal titolo “Novecento” dove vengono ritratti alcuni protagonisti della politica del '900 come: Hitler, Stalin, Mussolini e Berlusconi, accoppiarsi con diverse eroine del fumetto e porno star. L'opera diventa d'attualità quando scoppiano gli scandali dei festini a sfondo sessuale nelle residenze del Presidente Berlusconi. La foto dell'opera viene, inoltre, pubblicata sulla copertina del libro di Paolo Guzzanti: "Mignottocrazia". L'altro episodio riguarda l'opera “La Madonna del Terzo Reich” esposta per la prima volta alla Fiera d'arte di Verona. Notata da alcuni giornalisti in anteprima dall'apertura della fiera, diventa notizia di cronaca su diversi quotidiani che gridano allo scandalo. Intervengono il Sindaco Flavio Tosi, il Vescovo e il Rabbino di Verona che ne chiedono l'immediata rimozione. Dopo la censura dell'opera Veneziano inscena una protesta, rivendicando la propria libertà d'espressione, proprio davanti la parete bianca dove prima era esposto il quadro. A sostegno dell'artista siciliano interviene lo scrittore Aldo Busi.

Risale al 2010 la prima mostra antologica di Giuseppe Veneziano dal titolo “Zeitgeist”. Il Comune di Pietrasanta ospita la mostra nei propri locali, ma prima della sua inaugurazione, avvengono diverse proteste da parte del parroco locale, del Vescovo di Lucca e dell'Arcivescovo di Pisa, per impedire l'esposizione dell'opera “La Madonna del Terzo Reich”. Il Sindaco decide di ritirare il patrocinio ma non di chiudere la mostra. Anche in questo caso la bagarre mediatica investe quasi tutti i mezzi di comunicazione. Nel dibattito intervengono Vittorio Sgarbi (che riproporrà la mostra a Salemi, dove allora era Sindaco), Giampiero Mughini, Andrea Pinketts. Moni Ovadia e i critici d'arte: Achille Bonito Oliva e Ivan Quaroni. La mostra ebbe un notevole successo, quasi 10.000 visite. Grazie alla mostra di Pietrasanta, l'artista siciliano viene notato dal gallerista Stefano Contini che gli propone di collaborare con la sua galleria.

Nel 2011 partecipa alla 54ª Biennale di Venezia.

Nel 2012 è invitato alla Biennale Italia-Cina. Nel 2014 realizza l'immagine di copertina e il booklet dell'album “McMao” dei Management del Dolore Post-Operatorio.

Dalla critica e dalle riviste di settore è riconosciuto come uno dei massimi esponenti della “New Pop italiana” e del gruppo “Italian Newbrow”. (30/01/2019-ITL/ITNET)


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