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FINANZA TERRITORIALE - AL CNEL PRESENTATO RAPPORTO 2018 : AL CENTRO RILANCIO INVESTIMENTI PUBBLICI - TREU (PRE.CNEL):"ISTRUZIONE, SANITA' LAVORO E AMBIENTE CARDINI DELLO SVILUPPO REGIONALE.

(2018-12-12)

  “Le spese correnti secondo il conto economico delle Amministrazioni locali sono in crescita nel 2017, toccando i 213,4 mld di euro, pari a +0,4% rispetto al 2016 e +2,6% rispetto al 2015. Le spese in conto capitale delle Amministrazioni locali però si riducono anche nel 2017 arrivando a 25,8 mld di euro (-9,1% rispetto al 2016 e -19,8% rispetto al 2015) con una riduzione generalizzata per tutte le voci che le compongono”.

E’ quanto emerso oggi durante la presentazione del Rapporto sulla Finanza Territoriale 2018 a cura di 6 istituti regionali di ricerca socioeconomica IRES Piemonte, IRPET Toscana, SRM Napoli, Éupolis Lombardia, Ipres Puglia e Liguria Ricerche.

Al centro del rapporto, che esamina ogni anno l’andamento della congiuntura economica, finanziaria e normativa per le sue ripercussioni sugli assetti della finanza decentrata mettendo in evidenza i principali cambiamenti intervenuti dal 2008, periodo in cui le amministrazioni territoriali sono state travolte da molti cambiamenti, il tema del rilancio degli investimenti pubblici.

All’iniziativa, svoltasi a Roma nel Parlamentino del Cnel alla presenza di Tiziano Treu, presidente Cnel, e moderata da Luca Gandullia (Liguria Ricerche), sono interventi, tra gli altri, Santino Piazza (Ires Piemonte), Patrizia Lattarulo (Irpet), Angelo Grasso (Ipres), Stefano Bonaccini (presidente Conferenza delle Regioni), Vincenzo Provenzano (Università di Palermo - AISRe), Bruno Bises (Università Roma Tre, SIEP), Stefano Piperno (Centro studi sul federalismo, IRES Piemonte), Adriano Giannola (SVIMEZ).

“La novità del Rapporto 2018 sta nella delicata questione del regionalismo differenziato e nella richiesta di tre regioni di aumentare l’autonomia legislativa ed amministrativa in alcune materie. Forse, come scrive il Rapporto, non sempre a maggiori funzioni corrispondono maggiori trasferimenti di risorse economiche, ma certo è che ne derivano maggiori responsabilità. È molto positivo che tre regioni che sono tra le più virtuose ed efficienti si pongano come modello evolutivo per le altre e per il Paese. È importante anche che abbiano come obiettivo l’istruzione, la sanità, il lavoro e l’ambiente, cardini intorno ai quali ruota lo sviluppo. Come presidente del CNEL esprimo l’auspicio che né oggi né in futuro vi siano spinte centrifughe o scatti in avanti che aumentino il divario territoriale. Come si sta ribadendo a livello europeo, le politiche per la coesione sociale, ma anche le scelte di sviluppo sostenibile richiedono un approccio ampio e unitario”, ha detto Treu aprendo i lavori.

“Anche nel 2017 le azioni normative intraprese dal governo centrale a partire dal 2016 al fine di incrementare gli investimenti locali sono risultati inefficaci, nonostante il livello di attenzione prestato alla continua riduzione di tale voce sia stato sempre molto elevato”, si legge ancora nel Rapporto.

Oltre all’analisi congiunturale della finanza territoriale, la ricerca esamina le possibili cause della mancata efficacia della politica di rilancio degli investimenti degli enti locali e descrive gli strumenti, e l’utilizzo, del finanziamento degli investimenti negli stessi enti, fotografando lo stato attuale dell’autonomia tributaria regionale attraverso un’analisi dell’Irap a vent’anni dal decreto legislativo n. 446/97.

Le misure adottate dagli Enti territoriali negli ultimi anni in materia di investimenti hanno puntato per lo più a contenere in modo significativo la dinamica evolutiva della spesa per ricondurre l’andamento dei conti pubblici su un sentiero di continuo e graduale rientro del debito pubblico nei parametri comunitari. Conseguenza diretta, è stata una sotto dotazione finanziaria per la spesa per investimenti, frutto non solo del calo dei trasferimenti ma anche della mancata crescita di altre forme di finanziamento.

Indicativo è il dato sui mutui sottoscritti: nel periodo che va dal 2007 al 2017 tale mercato ha perso circa l’85% del suo Valore iniziale, passando dagli oltre 4 miliardi di euro del 2007 ai 637 milioni di euro del 2017. Il calo ha caratterizzato anche altre forme di finanziamento, come i buoni obbligazionari che, a partire dal 2006, hanno mostrato un costante calo fino ad azzerarsi nel corso del 2014 e a registrare, negli anni successivi, emissioni limitate a poche unità.

In tale scenario, due strade alternative per il reperimento di risorse sono state quella del ricorso al capitale privato e quella dei fondi comunitari, entrambe caratterizzate nel tempo da problemi di diverso ordine che ne hanno in qualche modo compromesso il pieno utilizzo.
Nel caso dei fondi comunitari, ad esempio, le difficoltà procedurali ed amministrative hanno in alcuni casi portato a dei rallentamenti tali da implicare la perdita di risorse; mentre, per quanto riguarda il Partenariato Pubblico rivato, le carenze strutturali dello strumento sono evidenti nel numero dei procedimenti interrotti, pari a circa il 13% dei procedimenti complessivamente censiti a partire dal 2002.
Ciononostante, negli ultimi anni, si è cercato di ovviare a queste difficoltà; ad esempio sottoscrivendo i Patti per il Sud per accelerare la spesa dei fondi comunitari disponibili. Il mercato dal canto suo è cresciuto costantemente: se si considera
tutto il periodo della sua attuazione (2002-2017) si contano circa 32 mila “procedimenti in corso” per 93 miliardi di euro. Per il solo 2017 le gare sono state invece 3.297 (legate per lo più ai settori l’edilizia sociale e pubblica e gli impianti sportivi) per un
volume d’affari di quasi 6 miliardi di euro (concentrato soprattutto in opere dei settori dell’energia e delle telecomunicazioni) ed il peso dei procedimenti interrotti è sceso al 6%.

Ma alla base (concentrato soprattutto in opere dei settori dell’energia e delle telecomunicazioni) ed il peso dei procedimenti
interrotti è sceso al 6%.

L’Irap e l’autonomia tributaria regionale a vent’anni dal decreto legislativo n. 446/97 Le modifiche alla disciplina dell’Irap succedutesi negli anni, con la graduale scomparsa della componente «costo del lavoro», hanno ormai raggiunto un limite insuperabile, cambiando la fisionomia originaria dell’imposta regionale sulle attività produttive e rendendo sempre più opache le motivazioni con cui essa venne introdotta nel 1997 come strumento dell’autonomia fiscale regionale.

Nel lavoro si cerca di fare ordine nel percorso che ha portato dalla introduzione dell’imposta fino al depotenziamento che ha subito negli anni più recenti. A vent’anni dalla sua introduzione, viene presentata un’ampia sintesi dei tratti salienti dell’imposta, del dibattito che ne ha accompagnato l’istituzione e le vicende successive, della dinamica del gettito e dell’imponibile, del ruolo che ha rivestito nel processo di decentramento fiscale regionale e le possibili prospettive anche alla luce dell’esperienza internazionale.

Si discutono ampiamente le questioni legate al trattamento relativo di capitale e lavoro, al centro delle critiche mosse a questa imposta nel corso degli anni, derivanti dal diverso carico fiscale che le imprese si trovano a dover sopportare in ragione di elementi quali la dimensione e collocazione geografica, e analizzano i temi legati all’influenza dell’imposta sulle decisioni di impiego del fattore lavoro e quindi sui livelli di occupazione.

Già a partire dal 2007 si assiste a un significativo calo del gettito Irap. Oltre all’effetto del ridimensionamento dell’aliquota base e del ciclo economico negativo (lo scoppio della crisi del 2007-2008), sconta l’effetto dei ripetuti interventi del legislatore al fine di abbattere l’imponibile per selezionate tipologie di soggetti passivi e per incentivare l’occupazione, ma solo a partire dal 2015 si intensifica il calo di gettito. Il gettito complessivo dal 2013 al 2016 passa da circa 34,8 miliardi a circa 22,8 miliardi. Il calo è da attribuire interamente alla componente privata, che passa da circa 24,8 a circa 13,1 per un calo totale di 11,7 miliardi di euro.

Le diverse decisioni del legislatore nazionale sulla definizione di imponibile e dei soggetti passivi hanno contribuito a modificare in maniera definitiva la capacità di questa imposta di reagire alla dinamica dell’imponibile, erodendolo in profondità. Anche l’autonomia tributaria regionale ha subito l’effetto del ridimensionamento del ruolo dell’imposta. La perdita di peso dell’Irap ha contribuito a ridurre l’autonomia impositiva delle regioni, che sulla base dei dati pubblicati dall’Istat sarebbe tornata nel 2014 ai livelli del 1998.

Si discute degli effetti delle modifiche alla definizione di imponibile sulla natura dell’imposta, e sull’esperienza dell’Irap quale strumento della fiscalità autonoma regionale. In particolare, si segnala come l’Irap sia stata ampiamente utilizzata dalle regioni quale strumento di incentivazione settoriale, ma le continue intromissioni del legislatore , vincolando la manovrabilità delle aliquote, ne abbia ostacolato l’ampia diffusione e il fine tuning delle misure di politica fiscale nelle regioni che più l’hanno utilizzata. Si indica inoltre come non vi siano state indicazioni di competizione al ribasso sulle aliquote da parte delle regioni, uno dei timori che inizialmente si legava all’introduzione di questo specifico strumento fiscale.

Dal punto di vista dell’utilizzo dell’Irap quale strumento fiscale per l’autonomia tributaria regionale, e quindi il finanziamento dei servizi decentrati, si segnala come le recenti modifiche all’imponibile, e in particolare l’abbattimento del costo del lavoro, contribuiscano a acuire la già ampia sperequazione territoriale del tributo.

Si analizzano le possibile alternative all’Irap, discutendo i pro e contro degli strumenti fiscali a disposizione, e concludono con una sintesi delle esperienze internazionali più rilevanti in materia di tassazione d’impresa a livello sub-nazionale, rilevando come vi sia sempre maggiore attenzione su forme d’imposizione sulle imprese del tipo comprehensive business income tax, alle quali ora l’Irap si avvicina. Si precisano le caratteristiche di alcune di queste, al fine di proporre alternative caratterizzate da ampia base imponibile e elevato gettito in sostituzione dell’attuale Irap.(12/12/2018-ITL/ITNET)

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