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IMPRESE ITALIANE NEL MONDO - RAPPORTO CONOSCENZA ISTAT - PIU' FORMAZIONE IMPRENDITORI PIU' ISTRUZIONE ADDETTI E MIGLIORI PERFOMANCE IMPRESE NELLA CATENA DEL VALORE

(2018-02-22)

  Rapporto che l’Istat ha presentato oggi sul mondo della conoscenza in Italia propone, per la prima volta, una lettura integrata delle diverse dimensioni della creazione, della trasmissione e dell’uso della conoscenza nella vita delle persone e nell’economia.

sul fronte delle imprese e dell'istruzione nel tessuto delle micro e piccole imprese con dipendenti:

- Nel 2015, le imprese con dipendenti da 2 a 49 addetti attive nella manifattura e nei servizi di mercato sono circa 770 mila, con 4,6 milioni di occupati. Si tratta di una componente importante del tessuto produttivo nazionale. Il livello medio di istruzione degli imprenditori è relativamente modesto (11,4 anni di scolarità pro capite nel 2015, meno del diploma secondario superiore) benché cresciuto nel tempo (0,4 anni in più rispetto al 2011). I loro dipendenti sono, nel complesso, relativamente meno istruiti (10,8 anni di scolarità pro capite).

- Queste caratteristiche variano molto al variare dell’attività d’impresa - dagli oltre 16 anni pro capite per gli addetti del comparto Ricerca e sviluppo ai 9 anni scarsi nel caso dell’industria delle confezioni e della pelletteria - ma le differenze nei livelli di istruzione sono molto ampie anche all’interno dello stesso comparto, il che suggerisce la coesistenza di modelli organizzativi diversi e una eterogeneità rilevante nella collocazione delle singole imprese nella catena del valore.

-  L’analisi condotta sull’intero universo di queste imprese mostra che dove gli imprenditori sono più istruiti, a parità di settore, dimensioni e localizzazione geografica, anche i dipendenti tendono ad avere un livello di istruzione più elevato: in media, ogni anno di scolarizzazione in più dell’imprenditore corrisponde a 1,3 mesi di istruzione in più per ciascun dipendente.

-  L’istruzione di imprenditori e dipendenti è associata positivamente alla performance delle imprese: la dinamica del valore aggiunto è più favorevole, i salari sono migliori e, soprattutto, i tassi di sopravvivenza sono più elevati. In quest’ultimo caso, nel periodo 2011-2015, caratterizzato da una mortalità molto elevata delle imprese esistenti, per ogni anno d’istruzione in più degli imprenditori si è osservato in media un miglioramento del 5% nel tasso di sopravvivenza delle imprese e un ulteriore miglioramento di circa il 3% per ogni anno d’istruzione della media dei dipendenti.

-  Infine, l’istruzione degli addetti (in questo caso, soprattutto quella dei dipendenti) è risultata associata sia alla scelta di adottare le tecnologie dell’informazione sia al comportamento innovativo.

Dall’analisi econometrica risulta che ogni anno di istruzione in più degli addetti nel 2015 aumenta di quasi il 30% la probabilità di adozione di applicativi di gestione generale (Erp), di circa il 20% quella di software di gestione dei rapporti coi clienti (Crm; più elevata per l’uso operativo) e di poco meno il 25% quella di avere realizzato innovazioni combinate materiali (di prodotto o processo) e immateriali (organizzative o di marketing). Inoltre, si riflette in una differenza pari a circa il 6% sulla percentuale di addetti che utilizzano computer nell’attività lavorativa

L’uso degli strumenti informatici e gli specialisti Ict
- Nel 2017, si stima che il 64% della popolazione europea tra i 16 e i 74 anni abbia usato il computer su basi quotidiane contro il 52% dei residenti in Italia (in aumento di 11 punti rispetto al 2008).
Quasi ovunque, il differenziale tra le persone di 16-24 anni e quelle di 55-74 supera i 30 punti percentuali; d’altra parte, tra le persone di 55-74 anni con istruzione universitaria in Italia la quota raggiunge l’80%, in linea con la media Ue.

-  Il ritardo complessivo del nostro Paese e il ruolo centrale di età e istruzione nella diffusione delle tecnologie digitali si confermano anche per l’uso di Internet: in Italia, gli utenti regolari sono aumentati dal 37% nel 2008 al 69% nel 2016 (contro l’81% nell’Ue), quota che sale al 73,7% tra le persone laureate di 65-74 anni.

- Gli utenti di Internet in Italia si concentrano in un numero relativamente ridotto di attività online, perlopiù di carattere passivo e poco avanzato: sono nella fascia bassa della graduatoria per l’invio di email (l’uso più diffuso in assoluto) e ultimi o nelle ultime posizioni per gli usi a carattere informativo (leggere giornali, documentarsi sulla salute, raccogliere informazioni su prodotti), i servizi bancari (40%), la creazione di contenuti e le vendite online. Sopra la media sono invece la visione di video condivisi da altri utenti e la partecipazione civica o politica.

- Nel 2017 ha un sito web il 72% delle imprese italiane con almeno 10 addetti, valore al di sotto della media Ue (77%) ma in crescita di 11 punti rispetto al 2010. La quota di imprese che vendono via web i propri prodotti è del 10%, contro il 16% dell’Ue. Sul territorio, l’incidenza è più elevata nelle province autonome di Bolzano (oltre il 27%) e Trento, seguite dall’Umbria e da quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, in molti casi con un progresso di 8-10 punti percentuali rispetto al 2012. Il risultato delle regioni del Mezzogiorno, anche se condizionato da una composizione favorevole delle attività,
testimonia quanto sia importante la presenza in rete per le imprese operanti in aree periferiche.

-  L’impiego delle tecnologie dell’informazione per le attività di e-business in Italia è in rapida crescita e in linea con la media europea. In particolare, nel 2017 circa il 37% delle imprese italiane con almeno 10 addetti ha utilizzato applicativi gestionali (Erp) per condividere e integrare l’informazione all’interno dell’azienda e rendere i processi più efficienti (+15 punti rispetto al 2010). Come già segnalato, l’uso delle tecnologie digitali nelle piccole imprese appare fortemente influenzato dai livelli d’istruzione degli addetti.

-  A livello europeo, nel 2017 il 56% del personale delle imprese con almeno 10 addetti utilizza computer sul lavoro, contro il 50% in Italia (+12 punti rispetto al 2010). Parallelamente, una impresa europea su cinque ha realizzato attività per il miglioramento delle competenze informatiche dei dipendenti mentre in Italia la quota è del 13%.

-  Gli occupati in professioni Ict sono cresciuti numericamente e come incidenza sull’occupazione: nel 2016 sono più di 8 milioni nell’Ue, corrispondenti al 3,8% del totale, dal 3,1% nel 2011. In Italia sono quasi 750 mila e rappresentano il 3,3% degli occupati: rispetto alla media europea la crescita è stata relativamente più lenta (2 decimi di punto percentuale) e la quota di laureati resta inferiore.

D’altra parte, l’occupazione in professioni Ict ha continuato a crescere nel nostro Paese anche nel pieno della crisi e assorbe oltre il 5% del totale dei laureati occupati.

Innovazione, export di servizi a elevata intensità di conoscenza e di prodotti di qualità
- Circa la metà delle imprese con almeno 10 addetti realizza attività innovative, in linea con la media europea, ma meno del 20% delle imprese innovatrici nel triennio 2012-14 lo ha fatto collaborando con altre imprese e centri di ricerca, contro circa un terzo nell’Ue. Sul territorio, la quota di imprese che ha svolto attività innovative varia da oltre il 50% in Veneto, nella provincia di Trento e in FriuliVenezia Giulia a poco più del 30% in Sicilia e Campania. In tutte le regioni del Centro (tranne l’Umbria) e del Mezzogiorno la percentuale di imprese innovatrici è inferiore alla media nazionale.

-  Le esportazioni di servizi rappresentano nel 2016 il 12,4% del Pil nell’Ue (9,1% nel 2006) e il 5,4% in Italia (dal 5,2%) che si posiziona all’ultimo posto in Europa. Inoltre, i servizi d’impresa evoluti (finanziari, gestionali, informatici, tecnici e di leasing, e per i diritti di sfruttamento della proprietà intellettuale) insieme, nel 2015 incidono per il 39,3% sull’export di servizi nell’Ue (oltre 4 punti percentuali in più rispetto al 2010) e appena il 19,2% su quello italiano, con un saldo negativo. In generale, a confronto con le altre economie europee, il nostro Paese è rimasto chiuso all’interscambio di servizi. La crisi ha avuto per effetto la caduta della domanda di servizi avanzati da parte delle imprese e – perdurando più che negli altri paesi – ha favorito il surplus nei servizi turistici.

Negli anni più recenti, d’altra parte, si osserva una crescita notevole nel peso delle esportazioni di servizi di Ricerca e sviluppo (salite oltre la media Ue) e di quelli informatici (che restano ancora molto distanti dai livelli prevalenti).

-  Se il sistema produttivo italiano mostra tuttora una competitività molto modesta nell’export di servizi avanzati, nel periodo 2000-2016 ha conseguito il miglioramento nella qualità dei beni – per quanto riflesso da prezzi o valori unitari – più elevato tra i paesi Ue (+14% rispetto alla media mondiale), con livelli superiori o prossimi a 3 volte la media mondiale per i prodotti di abbigliamento e pelletteria, e a quasi 2 volte per i prodotti tessili. Non trascurabile è, inoltre, l’export di prodotti culturali (soprattutto artigianato e opere d’arte) che, pur rappresentando una frazione minima (lo
0,5%) del totale, nel 2016 ha presentato un saldo attivo per quasi mezzo miliardo di euro. (22/02/2018-ITL/ITNET)

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