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FORMAZIONE ITALIANA NEL MONDO - RAPPORTO ISTAT 2018 CONOSCENZA : ISTRUZIONE SCOLASTICA E UNIVERSITARIA

(2018-02-22)

  Rapporto che l’Istat ha presentato oggi propone, per la prima volta, una lettura integrata delle diverse dimensioni della creazione, della trasmissione e dell’uso della conoscenza nella vita delle persone e nell’economia.

L’istruzione scolastica e universitaria:

- L’Italia presenta un ritardo storico nei livelli d’istruzione rispetto ai paesi più avanzati. Nel 2016, la quota di persone tra i 25 e i 64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore ha raggiunto il 60,1%. Nonostante un aumento di 8 punti rispetto al 2007, la quota resta inferiore di 16,8 punti percentuali rispetto alla media europea. Il ritardo italiano nell’istruzione è in larga misura, ma non esclusivamente, dovuto alla scarsa istruzione delle coorti più anziane (tra le persone di 25-34 anni il differenziale è di 9,5 punti). I livelli di istruzione della popolazione adulta sono molto variabili sul
territorio: in Sicilia e Puglia meno della metà dei residenti possiede almeno un diploma secondario superiore e solo il 13% un titolo terziario mentre nel Lazio, anche grazie alla maggior offerta di lavoro qualificato, queste percentuali salgono a 70 e 23%.

-  Gli abbandoni scolastici e formativi precoci (persone tra 18 e 24 anni senza titolo secondario superiore) si sono ridotti considerevolmente dal 20% nel 2007 al 13,8% nel 2016, superando l’obiettivo nazionale di riduzione al 16% nel 2020; è diminuito anche il differenziale con l’Ue, da circa 5 a 3,1 punti percentuali. Per i giovani nati all’estero, tuttavia, gli abbandoni superano il 30%, il valore più elevato dopo la Spagna.

- Nell’insieme dell’Unione, nel 2015 hanno conseguito un titolo terziario più di 4,5 milioni persone. Questo flusso rappresenta il 74 per mille della classe tra 20 e 29 anni, popolazione di riferimento utilizzata convenzionalmente per misurarne l’intensità. In Italia, l’indicatore è salito dal 42 al 57 per mille tra il 2010 e il 2016 ma resta ben al di sotto della media europea. Ciò compendia tassi di transizione dalle scuole superiori ancora contenuti, l’avvio molto recente dei corsi di istruzione tecnica superiore (ITS), tassi di successo inferiori alla media (benché in aumento) e una diffusione
relativamente minore dell’istruzione universitaria in età adulta.

-  Le condizioni di partenza continuano a incidere sui percorsi e i risultati dell’istruzione, attribuendo maggiori chance relative a chi proviene da famiglie più istruite. Considerando le persone tra 25 e 34 anni (che si suppone abbiano completato gli studi), si osserva un progresso notevole nei livelli d’istruzione rispetto al titolo massimo conseguito dai genitori. Nel 2016, oltre un quarto dei figli ha un titolo universitario contro l’11,3% dei genitori. Tra i genitori, poco meno del 50% ha raggiunto al più la licenza media, percentuale quasi dimezzata per i figli. Tra questi ultimi, tuttavia, l’incidenza sale al 43% se provenienti da famiglie con bassa istruzione mentre è inferiore al 4% quando i genitori
hanno conseguito un titolo universitario. La strada dei figli, inoltre, appare tracciata già prima dell’università, nella scelta del tipo di scuola superiore: nel 2016, ha conseguito un diploma liceale (tipicamente propedeutico all’università) quasi il 60% dei diplomati con genitori laureati, il 30% di quelli con genitori in possesso di un titolo di istruzione secondario superiore e appena il 21% dei figli i cui genitori hanno al più la licenza media.

- Il sistema universitario italiano si caratterizza per un aumento progressivo della regolarità degli studi, sia pure con alcune differenze notevoli per livello e sul territorio. Considerando le lauree triennali di primo livello, il miglioramento è particolarmente vistoso nel Mezzogiorno (+55% di laureati dopo tre anni tra gli immatricolati dell’anno accademico 2011/2012 rispetto al 2002/2003) anche se la percentuale di laureati in corso è ancora molto bassa (16%) e pari a meno della metà rispetto alle università del Nord. Regolarità ed esiti positivi sono, in partenza, molto maggiori per la laurea specialistica. Anche in questo caso efficienza e capacità formativa del sistema sono andate migliorando nel tempo. Inoltre, l’aumento sostanziale del tasso di laureati al quarto anno nel Centro e nel Mezzogiorno si è accompagnato a una diminuzione simile degli abbandoni.

Competenze e formazione
-  Considerando le competenze di base degli studenti quindicenni, secondo i risultati dell’indagine Pisa dell’Ocse nel 2015 in Italia la quota di studenti con competenze insufficienti è poco distante dalla media Ue per la lettura (21,0 contro 19,7%) e la matematica (23,3 contro 22,2%) e molto superiore nelle scienze (23,2 contro 20,6%). A confronto con il 2006, la percentuale di studenti italiani insufficienti si è ridotta di quasi 10 punti nelle competenze numeriche, di 5 in quelle di lettura e di 2 punti nelle competenze scientifiche. I livelli di competenze degli studenti italiani sono molto
variabili in relazione al tipo di scuola frequentata: per gli studenti del secondo anno delle superiori, i dati Invalsi del 2016/17 rilevano competenze alfabetiche degli studenti liceali superiori di 29 punti (su una scala normalizzata a 200) rispetto a quelli degli Istituti tecnici e di 50 punti rispetto agli studenti di istituti professionali; il distacco è minore ma sempre notevole per la matematica (16 punti con i tecnici, 43 con i professionali). Inoltre, le competenze degli studenti del Centro-nord sono decisamente superiori a quelle dei “colleghi” delle regioni meridionali, con un distacco particolarmente ampio per quelle numeriche.

- Le competenze di base (linguistiche e numeriche) degli adulti italiani (16-65 anni), rilevate nell’indagine PIAAC dell’Ocse nel 2012 erano tra le più basse in assoluto tra i paesi partecipanti, riflettendo in parte la scolarizzazione molto modesta delle coorti più anziane. Il dato aggregato è la risultante di differenze molto elevate per condizione professionale (a sua volta collegata al titolo di studio) e sul territorio. In quest’ultimo caso, ripartizioni del Centro e del Nord-est presentavano risultati migliori soprattutto grazie all’incidenza relativamente bassa delle persone con competenze insufficienti (il 20% o meno, circa 10 punti sotto la media nazionale).

- In quasi tutte le economie Ue per le quali si ha informazione aggiornata, tra il 2011 e il 2016 si osserva un aumento sensibile della diffusione delle attività di apprendimento non formali. In Italia, nel 2016 vi ha partecipato il 40,6% della popolazione tra i 25 e 64 anni, rispetto al 34,3% del 2011.
In ambito europeo, la diffusione è prossima o superiore al 50% nei paesi nordici, in Germania, Austria, Francia (nel 2011) e Ungheria mentre scende sotto il 30% in diversi paesi dell’est europeo e in Grecia.

-  Poco più di tre quarti delle attività non formali in Italia nel 2016 sono di natura professionale o professionalizzante, in prevalenza finanziate dalle imprese. Il dato nazionale sulla formazione nelle imprese al netto della formazione obbligatoria fa registrare una marcata divaricazione sul territorio.

Nel 2015, la quota di imprese formatrici è cresciuta leggermente rispetto al 2010 nelle ripartizioni del Nord (al 54-55%) e diminuita al Sud (dal 42,6% al 39,9%) e nelle Isole (dal 42,1 al 35,8%), soprattutto in Calabria e Sicilia. (22/02/2018-ITL/ITNET)

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