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SINDACATI ITALIANI NEL MONDO - POLITICHE 2018: DURANTE (POL.EUROPEE E INTERNAZ. CGIL): "I FATTORI INTERNAZIONALI: ULTERIORI ELEMENTI A DISPOSIZIONE DEI CONNAZIONALI ALL'ESTERO PER UN VOTO RESPONSABILE"

(2018-02-16)

      Siamo al culmine della breve ma intensa campagna elettorale fra gli italiani della Circoscrizione estero. Ancora una settimana e le schede di voto dovranno essere improrogabilmente reinviate ai Consolati.
Una campagna che registra, in questa tornata - la quarta dal riconoscimento del voto nella Circoscrizione estero -  la partecipazione di numerosi candidati.  Stemperate, invece, le differenze fra i programmi che, a livello individuale non sempre seguono la linea del proprio partito su territorio metropolitano, laddove le differenze risultano decisamente più marcate. Ed è in quest'ambito che gli eletti dovranno misurarsi. Anche chi ora si chiama fuori dal piu' generale dibattito politico italiano, finalizzando la propria candidatura solo ai problemi degli italiani all'estero. Dunque, occhio anche al dibattito in Italia prima di scegliere partito e candidati !

In quest'ottica l'appello ( (http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=51523 ) lanciato dal sindacato  CGIL - il maggior sindacato italiano - perchè prevalgano programmi e candidati ispirati ad alcuni valori fondamentali. Italiannetwork /Italialavorotv ne ha approfondito i termini, con uno sguardo, tra l'altro, anche agli effetti delle politiche internazionali, a  Fausto Durante, responsabile delle Politiche europee e internazionali del sindacato guidato da Susanna Camusso. 

"Noi abbiamo fatto un appello che tiene conto di tre capisaldi valoriali fondamentali: uno è quello che riguarda il valore della democrazia, dell'antifascismo, del contrasto a ogni forma di populismo, di xenofobia, di razzismo, di risorgente tendenza all'autoritarismo che dobbiamo assolutamente contrastare. E, questo è per noi un punto delicato e fondamentale di identità valoriale, anche alla luce delle vicende recenti di cronaca e non solo.

Poi abbiamo posto il tema delle questioni sociali, ovvero del rilancio di tutta la dimensione del benessere individuale e collettivo, dei diritti acquisiti dal punto di vesta previdenziale, del welfare, dell’istruzione, della sanità.

Quindi, c’è il tema del rilancio del processo europeo, un processo di integrazione europea che è in crisi, anche per le politiche sbagliate per le reazioni sbagliate dei governi alla congiuntura economica, alla risposta anch' essa sbagliata al tema dell’emigrazione. A questo aggiungiamo altre due o tre elementi che riguardano la dimensione internazionale, il ruolo degli italiani nel mondo, degli italiani all’estero, il contributo che questa parte dei nostri connazionali da alla ricchezza dei paesi che li accolgono ed indirettamente anche del prestigio ed il valore dell’Italia.

L’ulteriore elemento di accentuazione della dimensione internazionale è, per Durante, rappresentato da due fattori: uno quello dei grandi trattati commerciali che l’Unione  Europea sta discutendo ed in qualche caso ha già realizzato con paesi come gli Stati Uniti, Canada.  L’altro è quello della cooperazione internazionale.
Allora, sulla prima questione noi siamo fermamente contrari all’approccio, alla politica, alla cultura che sottintendono i grandi accordi commerciali - tipo il CETA con il Canada o il TTIP con gli Stati Uniti. E lo siamo per tre ragioni di fondo: che questi grandi accordi commerciali continuano a perseguire la logica del profitto dell’impresa, del primato dell’impresa, su qualunque altra dimensione, compresa quella del mercato del lavoro, dei diritti del lavoro, della rappresentanza collettiva di tutte le tutele ed interessi".

E l'esponente della CGIL fa presente "il primo elemento negativo che questi accordi, se dovessero tutti entrare in vigore produrrà, sarà l’impatto sulla nostra agricoltura. In Europa abbiamo un principio di precauzione, di certezza sulla
provenienza degli alimenti, del cibo, della filiera attraverso cui gli alimenti vengono trasformati e preparati, abbiamo elementi di precauzione e di garanzia che il sistema statunitense non conosce, perché un è sistema per il quale diciamo tu puoi fare le class action ex post, ma non puoi avere elementi di precauzione ex ante.

L’impatto sull’autorità del cibo, sulla tutela e valorizzazione dei nostri marchi, i doc, i dop, gli igp, gli igt eccetera, sarebbe un impatto devastante" chiarisce Durante. Basti pensare che la prima versione del TTIP proteggeva solo 7 dop e doc italiani su oltre 300. Anche l’accordo commerciale con il Canada ne protegge solo una quarantina.

Il secondo elemento è che questi accordi che hanno incorporato la filosofia neoliberista, prevedono degli investimenti delle grandi multinazionali nei confronti degli stati con la possibilità di adire alle Corti di giustizia parallele e non disponibili per gli altri cittadini. Tribunali di arbitrato internazionale, che nel 99% dei casi, almeno questa è l’esperienza che noi abbiamo fino a questo momento, danno sempre ragione alle imprese.
 
  Quindi, non si vede perché in paesi dai sistemi giuridici strutturati e sviluppati come i paesi dell’Unione Europea e gli Stati Uniti o il Canada, ci sia bisogno di un regime di giustizia speciale per le multinazionali, come se non ci fossero elementi di certezza del diritto, di certezza della giustizia nei nostri rispettivi paesi. È un ulteriore cedimento solo alla logica della tutela degli investimenti a qualunque costo.

La terza grande questione riguarda la democrazia, l’Unione Europea continua a negoziare questi trattati in un ambiente segreto, nascosto, in totale mancanza di informazione e comunicazione con l’opinione pubblica, qualche volta anche in spregio al volere dell'opinione pubblica. La Commissione europea ha fatto consultazioni pubbliche sul TTIP e sul CETA, la stragrande maggioranza dei cittadini europei che hanno partecipato si sono espressi contro la stipula di questi trattati, ciò nonostante, la commissione europea continua. I documenti disponibili per il TTIP sono custoditi rigorosamente, c’è qualcosa che non va dal punto di vista del processo democratico, della disponibilità di accesso alle informazioni, della capacità dei governi di controllare il mandato di chi è chiamato a negoziare.  Ebbene, questo è in contrasto con la nostra idea di Europa, di democrazia, di trasparenza, di fluidità del rapporto tra cittadini ed istituzioni.

C’è poi l’altro grande tema della cooperazione internazionale:  se noi vogliamo fare davvero quello che tanti politici strumentalmente dicono, aiutare le persone in difficoltà a casa loro, per evitare che giungano sulle nostre coste, o che muoiano sul Mediterraneo su qualche barcone che lasciamo colpevolmente andare alla deriva o nei campi di detenzione che ci sono in Turchia o in Libia, bè, dobbiamo rilanciare la cooperazione internazionale. Questo vuol dire invertire la tendenza degli ultimi anni, allorchè  l’Italia ha tagliato i fondi alla cooperazione più che incrementarli.

  Vuol dire, quindi,  ricominciare ad investire sulle grandi questioni che riguardano lo sviluppo dell’Africa, se si comincia a risolvere il tema del sottosviluppo, della fame, della miseria, nella fascia sub sahariana, nel Corno d’Africa, nell’Africa equatoriale, da cui proviene la maggior parte della fame e della sofferenza del mondo.
Allora, però,  cominciamo a fare una cosa che non solo è utile per stabilizzare il flusso dei movimenti di persone, ma è utile anche per affermare il ruolo positivo dell’Italia come paese che orienta e realizza lo sviluppo delle aree meno favorevoli e meno sviluppate del  mondo. "

Altro capitolo sul quale l'esponente della CGIL si sofferma "E se la smettiamo di finanziare l’industria militare, la vendita di armi, a paesi che sono in guerre non dichiarate sotto il mandato delle nazioni unite, penso a ciò che fa l’Arabia Saudita nello Yemen, oppure la smettiamo di dare armi a paesi che sono stati dichiaratamente considerati violatori di
diritti umani fondamentali, ecco, forse, cessiamo questo corto circuito permanente in cui i conflitti e le guerre si riproducono e si autoalimentano".

In buona sostanza, per il responsabile delle politiche europee ed internazionali (http://www.italiannetwork.it/video.aspx?id=2565)  della CGIL  "dovremmo fare un esame di coscienza, come cittadini europei ed italiani e riconoscere che abbiamo una quota parte notevole di responsabilità nelle cose che non vanno nel mondo e nei fenomeni che si stanno determinando.

In questo senso - aggiunge - arricchire il nostro appello per il voto degli italiani all’estero con le questioni che riguardano le grandi scelte delle politiche commerciali europee ed internazionali, il ruolo dell’Italia e le grandi questioni che riguardano la cooperazione internazionale, i flussi migratori, le battaglie per l’affermazione di una cultura pacifista che dica definitivamente no alle guerre, è un ulteriore elemento che noi mettiamo a disposizione dei cittadini italiani che scelgono i loro rappresentanti in queste elezioni politiche".

  E proprio guardando alle politiche internazionali delle quali i connazionali all'estero sono parte integrante, viene immediatamente da pensare agli effetti che la Brexit comporterà su una comunità dai grandi numeri.. Su questo piano quali interventi da parte del Sindacato.

"Noi abbiamo due livelli di confronto su questo argomento perché la comunità italiana in Gran Bretagna è assolutamente numerosa e importante. Allo stesso tempo, però, abbiamo tanti cittadini britannici che vivono e lavorano in altri paesi dell’Unione europea.  Nei loro confronti  abbiamo due livelli di rapporto:  con il sindacato inglese TUC con il quale abbiamo un rapporto consolidato ormai da molti anni ed al quale ci lega un'affinità di tipo culturale e politica. Inoltre,
abbiamo il rapporto con i negoziatori che stanno trattando il tema del Brexit,  favorito ed agevolato dalla nostra appartenenza alla CES - Confederazione europea dei sindacati.

  In Italia una delegazione di Cgil Cisl Uil ha abbiamo già incontrato il capo negoziatore Michel Barnier e discusso con lui. I temi che gli abbiamo posto sono questi: i cittadini italiani e comunque tutti i cittadini degli altri 27 stati dell’Unione europea che vivono, risiedono, lavorano temporaneamente o permanentemente in Gran Bretagna devono poter continuare ad avere gli stessi diritti di cui godono oggi. E devono continuare a goderne in un lasso di tempo che non può essere limitato o breve. Deve essere un tempo sufficiente per garantire il godimento di questi diritti per il tempo necessario.

Le stesse condizioni le chiediamo ai governi europei nei confronti dei cittadini britannici e pensiamo che sia sbagliato questo punto di vista, inserire come sta cercando di fare il governo inglese, in questa trattativa sul negoziato per l’uscita, elementi di rigidità e di scarsa flessibilità. Non si può pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca. La Gran Bretagna ha deciso con un voto che noi non condividiamo ma,  comunque, questa è stata la decisione:  avviare un processo di uscita dall’Unione europea. Tuttavia,  se uscita deve essere bisogna che la Gran Bretagna mantenga tutti gli impegni che fino a questo momento ha assunto con l’Unione europea, ivi compresa la sua partecipazione al bilancio dell’Unione. Una volta uscita  la Gran Bretagna perderà, d'altra parte,  una quota consistente, e  questo è un dato di cui gli inglesi non possono non tenere conto.

Dall’altro lato deve, però,  impegnarsi per garantire soprattutto i diritti sociali ed, in particolare, i diritti del lavoro." E Durante avverte "C’è il rischio che siano i lavoratori inglesi, quelli che oggi sono alle dipendenze di imprese britanniche, ma anche di filiali di imprese multinazionali con sede in Gran Bretagna, a pagare il prezzo in termini sociali, di condizioni di lavoro, di diritti.  Questo è quello che secondo noi non deve avvenire e per questo ci impegneremo.  Già a partire dalla prossima riunione del comitato esecutivo della CES che avverrà il 6 e 7 Marzo, a cui è prevista la partecipazione ad un dibattito con il capo negoziatore Michel Barnier, sarà per noi e credo anche per i nostri colleghi del sindacato britannico l’opportunità per ribadire questi principi " sottolinea il sindacalista della CGIL.

Altro Paese europeo, dove gli italiani sono numerosi: la Germania. Una nazione alla quale l'Italia guarda con interesse, anche sul fronte sindacale. Ritiene che l'Accordo raggiunto dal sindacato IG Metal con la Confindustria tedesca, potrà avere una concreta influenza anche nel contesto italiano ?

"E' un accordo che sicuramente parla di possibilità di introdurre elementi di innovazione e di cambiamento positivo nella cultura della contrattazione" afferma Durante, commentando "Non risponde solo una logica interna di tipo tedesco, ma indica due direzioni di marcia che per quanto riguarda la Cgil abbiamo già individuato da tempo e poniamo da tempo anche all’attenzione della politica italiana, che, però, di queste cose parla poco e male.
Uno è il tema della crescita dei salari, i salari devono tornare a crescere in tutta Europa." Su questo aspetto c’è una campagna generalizzata della CES per la crescita salariale, poichè  in Europa , in questi anni, sono stati troppo compressi i salari ed è diminuito drasticamente il potere d’acquisto in diversi paesi dell’Unione. Soprattutto i ceti medi ed i ceti popolari, hanno avuto dal mancato governo della globalizzazione e dalla stratta economica e sociale, gli effetti più negativi sulla quantità di risorse effettivamente a disposizione.
Quindi, la scelta della federazione metalmeccanica più importante del mondo di puntare sulla crescita dei salari è una scelta che indica la necessità che dappertutto si comincino a fare politiche convergenti ".

L’altra grande questione che solleva il contratto dell’industria metalmeccanica in Germania, prosegue il sindacalista della CGIL,  è quella relativa alla gestione degli orari. Siamo tutti d’accordo sul fatto che le nuove tecnologie, la robotizzazione, l’informatizzazione dei processi del lavoro, le tecniche digitali, la robotizzazione di intere fasi del processo produttivo della manifattura, tutto ciò sta cambiando concretamente il lavoro, le sue modalità di effettuazione,
l’equilibrio tra lavoro e tempo di vita. Basti pensare alla assenza dei turnisti, rigide o fisse, nei luoghi di lavoro, nelle piattaforme, nella economia digitale".  In buona sostanza, riassume Durante " Il fatto che si possa produrre di più con meno persone, con diminuzione dei posti di lavoro, con salari che rimangono stagnanti, non funziona! "
Ed il sindacalista va al nocciolo della questione "  I robot e le macchine possono produrre altri robot e altre macchine ma  non possono produrre servizi e non li possono comprare. Gli esseri umani possono produrre robot, macchine, fornire servizi e risorse adeguate. Le possono comprare !"  Ebbene "questo è il tema che solleva il contratto dei metalmeccanici tedeschi: bisogna far risalire i salari e bisogna che l’equilibrio tra il tempo di vita e il tempo di lavoro verso una riduzione ed una rimodulazione degli orari, permetta a tutti di godere dei benefici che vengono dai processi di modernizzazione tecnologica. Salario ed orario:  due temi antichi della contrattazione, ma declinati in modo moderno, che sono ancora le chiavi per una politica contrattuale vincente".

Altro tema sul quale guardiamo con interesse la Germania è la formazione duale, che in Italia rimane, pero', di difficile approccio, stando ai risultati finora raggiunti...

    "Abbiamo bisogno di fare un salto in avanti dal punto di vista della cultura della formazione continua circa gli strumenti legati all’apprendimento permanente, alla necessità di disporre lungo tutto l’arco della vita degli strumenti per migliorare il proprio bagaglio di conoscenza, la professionalità, attingendo alle migliori esperienze ed avendo la capacità di riprodurli, avendo bene chiare le specificità e le particolarità del sistema economico produttivo industriale italiano. Non possiamo pensare che sia il modo in cui oggi è concepita l’alternanza scuola lavoro a risolvere il tema della formazione"

  Se si vogliono ottenere risultati, "dobbiamo mettere in contatto l’offerta e la domanda, sapendo di doversi misurare con una offerta ed una domanda che richiede sempre maggiore specializzazione oltre che maggiore capacità di svolgere
contemporaneamente mansioni a volte diverse con conoscenze di tipo scientifico, tecnico, economico e matematico. Le cosiddette competenze STEM di cui gli italiani sono i meno dotati e di cui meno dispongono rispetto ad altri Paesi in Europa."  In sintesi "c’è bisogno di un grande impegno e grande mobilitazioni di energie in questo senso".

Quando parliamo di giovani, dobbiamo tenere in conto non solo gli aspetti economici numerici, quantitativi. La percentuale di giovani che non lavorano, nelle regioni del Sud è drammaticamente alta ed è un vero e proprio problema di emergenza sociale" afferma Fausto Durante stigmatizzando "Dobbiamo cominciare a mettere in campo politiche perché i nostri giovani riescano a trovare in Italia le risposte alle loro esigenze." Ed aggiunge "Sono risposte che devono tenere in considerazione il bisogno delle imprese di avere personale formato, qualificato, pronto ad essere proficuamente e positivamente inserito nel mondo del lavoro". 
  "Per questo, sottolinea il sindacalista della CGIL "deve cambiare l’approccio del governo:  meno propaganda sulle questioni della formazione continua e dell’apprendimento permanente. Meno slogan del tipo "buona scuola", che poi nasconde la mancanza di rapporto con le forze vere della scuola, gli studenti, gli insegnanti, e un po’ più di sostanza.

Ecco credo che da questo punto di vista il pilastro europeo dei diritti sociali dica qualcosa a proposito delle necessità
formative e del fatto che diventa una priorità politica investire sulla formazione dei giovani. Dice qualcosa a proposito della mobilità nei diversi paesi dell’Unione Europea. Dice qualcosa a proposito dell’incrocio domanda, offerta e la necessità di avere forza lavoro qualificata. Ecco, conclude, io chiederei al governo italiano di cominciare ad affrontare i nodi politici e gli impegni programmatici del "pilastro europeo dei diritti sociali". Sono convinto che lì i giovani troverebbero molte risposte che oggi non ci sono".
Una convinzione che e' anche un auspicio per migliaia e migliaia di giovani italiani, ..e non solo,  costretti a diventare expat, non per scelta ma per lavoro. (16/02/2018-m.f./ITL/ITNET)

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