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RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO - "MIGRAZIONI E INTEGRAZIONI NELL'ITALIA DI OGGI": I MOTIVI PER CUI I RICERCATORI ITALIANI GUARDANO CON INTERESSE AL MONDO DELLA RICERCA IN FRANCIA E GERMANIA

(2017-12-12)

Le indagini svolte negli scorsi anni dall’IRPPS sui ricercatori italiani all’estero [Brandi 2014], ma anche un’indagine condotta da Nature [Van Noorden, 2012] sulla situazione lavorativa, sulla mobilità e sulle prospettive future per la ricerca tra i suoi lettori di tutto il mondo ed altri studi [Appelt 2015] hanno mostrato che le ragioni della mobilità degli scienziati di tutte le nazionalità sono sostanzialmente le stesse: in primo luogo la possibilità di svolgere una attività scientifica di alto livello e con un finanziamento adeguato e, in misura minore, migliori prospettive salariali e di carriera. E' questo uno degli aspetti considerati nel volume ‘Migrazioni e integrazioni nell’Italia di oggi’ curato da Corrado Bonifazi, direttore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, presentato oggi a Roma, che trova nello studio della ricercatrice Maria Carolina Brandi una interessante riflessione

Dato per scontato che il fenomeno dei "cervelli in uscita" e' maggiore dei "cervelli in entrata" i dati OECD [2015a] mostrano che le principali destinazioni dell’emigrazione dei ricercatori italiani sono, nell’ordine, il Regno Unito, la Francia, la Germania e gli Stati Uniti. Quali i motivi ?

Tuttavia, prima di esaminare i termini dell'attrazione dei quattro Paesi, giova sottolineare le conclusioni :

Sostiene realisticamente Brandi:  "Negli ultimi decenni, la mobilità internazionale dei ricercatori è stata considerata
un fenomeno prevalentemente positivo. La nuova situazione internazionale conseguente alla crisi economica sta nei fatti mostrando che sono state solo le particolari condizioni economiche e politiche dell’ultimo quarto del Ventesimo secolo ad aver fatto nascere questo paradigma.

Naturalmente, è molto probabile che i paesi che hanno basato la propria economia sulla conoscenza e sull’innovazione continuino a cercare di attrarre ricercatori di talento dall’estero, specialmente quando come negli Stati Uniti, il sistema accademico nazionale non è in grado, per motivi sociali e politici, di produrre la quantità di risorse umane per la scienza e a tecnologia sufficiente a soddisfare le esigenze del proprio sistema produttivo, stimati in 150.000 nuovi ricercatori ogni anno [Hunter 2017].

I fattori di attrazione delle principali nazioni di accoglienza che abbiamo brevemente descritto continueranno a sussistere almeno nel medio periodo.
Tuttavia, la crisi sta generando una reazione a catena di irrazionale xenofobia ed isolazionismo che inevitabilmente rischia di coinvolgere anche la migrazioni altamente qualificate." conclude la ricercatrice del CNR.

Ed ora, passiamo alle considerazioni che riguardano i fattori di attrazione del mondo della ricerca in i Francia e Germania:
Un recente studio [Brandi 2016] ha mostrato che il principale fattore di attrazione delle nazioni europee è costituito dai loro sistemi di ricerca che, seppure diversi tra loro, per diverse ragioni sono più favorevoli al lavoro scientifico di
quello italiano, anche quando l’organizzazione del sistema di ricerca è molto simile, come nel caso della Francia.

Come in Italia, la rete scientifica francese si articola in strutture universitarie (o comunque di educazione terziaria) e in enti pubblici di ricerca, vigilati da un unico ministero, la valutazione della ricerca è effettuata da un organo pubblico indipendente e gli obiettivi prioritari della ricerca sono fissati da un piano pluriennale stabilito dal Governo [Ministère de l’Éducation Nationale, de l’Enseignement Supérieur et de la Recherche – MENER 2015].

Quello però che rende il sistema francese diverso da quello italiano è la disponibilità di risorse economiche superiori (2,23% del PIL, contro l’1,33% dell’Italia nel 2015 ) e una più attiva politica di reclutamento che, anche se in misura
maggiore o minore a seconda degli orientamenti politici governativi e della situazione economica, non è mai venuta meno. In particolare, il piano quinquennale per la ricerca  permette alle università, alle altre istituzioni di educazione
terziaria e agli enti pubblici di ricerca di pianificare regolari concorsi annuali per docenti e ricercatori, aperti anche a cittadini stranieri.
Ad esempio, anche se il numero di contratti a tempo indeterminato è sensibilmente diminuito dopo la riforma del 2002 delle università e degli enti di ricerca, provocando una forte opposizione della comunità accademica [Fossey 2004], nel 2014, ancora nel pieno della crisi economica mondiale, sono stati banditi in Francia 1291 concorsi per posizioni permanenti di Maitre de Conférence (grosso modo corrispondenti ai ricercatori universitari italiani) e 829 per professori universitari [MENER 2014].
Anche gli enti pubblici di ricerca hanno continuato ad assumere: ad esempio, nel 2013 sono entrati con posizioni permanente nei principali enti pubblici francesi 416 ricercatori e 62 Direttori di ricerca [Peretti et al. 2015], mentre nel 2016 sono stati assunti nel solo CNRS 528 ricercatori e direttori di ricerca

Circa il 30% del personale di ricerca del CNRS è costituito da stranieri. Va anche sottolineato il fatto che questi concorsi vengono effettuati rapidamente e i vincitori vengono assunti entro dodici mesi dal bando. Inoltre sono stati fatti numerosi concorsi per posizioni permanenti di Ingegneri-ricercatori (equivalenti ai tecnologi degli enti di ricerca italiani) e di personale tecnico, centinaia di posti a contratto su progetto e borse di studio vengono poi messi a disposizione ogni anno.

Infine, il sistema accademico  pubblico francese collabora frequentemente con le numerose imprese ad alta tecnologia nazionali, anche con scambi di personale, in posizioni sia permanenti che temporanee: non a caso, l’attività di ricerca in Francia è svolta per due terzi dalle imprese ed è finanziata da capitali privati, anche se con un sostanziale contributo statale.
Non è quindi sorprendente che la Francia sia divenuta uno dei principali poli d’attrazione per i ricercatori stranieri ed in particolare per quanti provengono da paesi, come l’Italia, nei quali trovare un contratto, anche a termine, nella ricerca pubblica ed ancora di più nelle imprese, è sempre più difficile.

Anche il numero di studiosi italiani che hanno scelto di lavorare in Germania è molto alto, anche se per uno straniero ottenere un impiego accademico stabile in questa nazione è notevolmente difficile. Infatti, degli oltre 38.000 laureati stranieri che insegnano e svolgono attività di ricerca presso istituzioni tedesche di istruzione superiore, solo circa 3.000 hanno la qualifica di professore ordinario (Professor), l’unico ruolo con contratto permanente nelle università tedesche.

D’altra parte, dato il livello di finanziamenti pubblici in Germania, bandi per contratti di ricerca a termine di vario genere sono pubblicati di continuo, sicché sarebbe possibile continuare per buona parte della vita lavorativa nell’attività di ricerca negli atenei e negli enti pubblici di ricerca tedeschi con contratti di questo tipo, spesso godendo di tutti i diritti sociali e pensionistici. Inoltre, esiste la possibilità di ottenere finanziamenti e contratti anche su progetti individuali da parte della DFG (Deutsche Forschungsgemeinschaft – Fondazione tedesca per la ricerca) e del DAAD (Deutscher Akademischer Austauschdienst – Servizio tedesco di scambi accademici) , sempre che siano approvati da una struttura di ricerca tedesca.

Infine, quaranta atenei tedeschi favoriscono l’assunzione contemporanea di coppie di ricercatori , ritenendo che il fatto
di lavorare nella stessa istituzione del proprio partner favorisca da un lato un lavoro più rilassato, e quindi più produttivo, dall’altro permetta di attrarre un maggior numero di ricercatori dall’estero.

Inoltre, le imprese ad alta tecnologia ed i centri di ricerca privati assumono con regolarità personale scientifico e tecnico altamente qualificato di ogni nazionalità e spesso, anche tramite una apposita associazione, finanziano apposite borse di dottorato per formare i ricercatori, anche stranieri, dei quali prevedono di avere necessità.

Il Volume affronta poi la questione anche alla luce dell'interesse nei confronti del Regno Unito, meta sulla quale, tuttavia,  si addensano delle nuvole per i nostri ricercatori. (12/12/2017-ITL/ITNET)

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