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LAVORO - STIPENDI DOCENTI - PACIFICO (ANIEF): PETIZIONE PUBBLICA PER EQUIPARARLI AL RESTO D'EUROPA

(2017-08-16)

    Per gli insegnanti promotori dell’iniziativa, che in poche ore ha raccolto migliaia di adesioni, è impensabile stare in Europa e assistere a una sperequazione tra docenti di nazionalità europee differenti: i nostri colleghi Europei lavorano in media in meno di noi italiani, nonostante questo aspetto percepiscono stipendi più alti, non vivono l'incubo del precariato scolastico come accade in Italia, non hanno l'accesso all'insegnamento veicolato dalle classi di concorso, godono di migliori possibilità di crescita professionale e di maggiori condizioni di tutela e promozione della salute così come intesa dall'OMS. Nell’appello, che al termine della raccolta firme verrà consegnato al Miur, si ricorda anche che quella del docente è una delle professioni ad alto rischio di burnout, proprio per la mole di lavoro loro richiesta e per le pochissime risorse umane ed economiche a cui lo stesso può attingere nel miglioramento, tutela e prevenzione rispetto alla propria condizione con cui il professionista dell'istruzione si confronta.

Anief condivide in pieno le ragioni della petizione. I numeri a confronto con il resto d’Europa, del resto, sono più che eloquenti, anche per l’alto rischio di incorrere in malattie professionali. Sul trattamento economico, basta citare l’ultimo rapporto Eurydice, la rete che mette a confronto il trattamento di 40 Paesi dell’area: se in generale, negli ultimi sette anni gli stipendi degli insegnanti continuano a registrare un aumento o una stabilità nella maggioranza dei Paesi europei, solo in Italia e a Cipro continuano a rimanere congelati. Il governo italiano, infatti, per ridurre il deficit pubblico, ha congelato gli stipendi nel 2010, inizialmente fino al 2013, ma la misura è stata estesa da allora ogni anno. A fronte di questo quadro impietoso, il giovane sindacato ricorda che le organizzazioni rappresentative s’apprestano a sottoscrivere un contratto di categoria che non soddisfa assolutamente le esigenze di allineamento degli stipendi dei docenti italiani a quelli europei.

Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Non devono sottoscrivere quell'accordo. Da quando il contratto è sbloccato, cioè da settembre 2015, doveva essere riallineata l'inflazione all'aumento del costo della vita intercorso tra il 2008 e il 2015, al 50% come prevede la legge. Ma ciò non è avvenuto. Addirittura per il Mef, come per il Governo, quell’indennità, da corrispondere per legge, dovrebbe rimanere congelata fino al 2021. Inoltre, se si firma questa bozza di contratto, il lavoratore prenderebbe solo a partire dal 2018 appena 85 euro, anziché almeno 210 euro che gli spettano. È arrivato il momento di chiedere il parere ai lavoratori con un referendum. I contratti non si firmano sulla pelle dei lavoratori: a volte è meglio non firmare e ricorrere al giudice.

Anief ricorda che per interrompere i termini di prescrizione e richiedere il 7% in più di IVC da settembre 2015, come previsto dalla Consulta, è ancora possibile inviare la diffida al Miur. Inoltre, è possibile aderire direttamente al ricorso.

Anche nei giorni di calura estiva, continua a tenere banco il problema degli stipendi di chi opera nella scuola: è di queste ore, l’avvio di una petizione pubblica attraverso cui un gruppo di insegnanti chiede l’equiparazione del trattamento economico tra docenti italiani ed europei. In poco tempo, hanno aderito già oltre 3mila cittadini. Le ragioni dell’iniziativa sono sacrosante: per i promotori dell’iniziativa è infatti “impensabile stare in Europa e assistere ad una sperequazione di trattamento economico tra docenti di nazionalità europee differenti. I nostri colleghi Europei lavorano in media in meno di noi italiani, nonostante questo aspetto percepiscono stipendi più alti, non vivono l'incubo del precariato scolastico come accade in Italia, non hanno l'accesso all'insegnamento veicolato dalle classi di concorso, godono di migliori possibilità di crescita professionale e di maggiori condizioni di tutela e promozione della salute così come intesa dall'OMS nel proprio posto di lavoro”.

Eppure, anche in Italia, si legge ancora nella petizione, “i docenti svolgono un ruolo delicatissimo nella nostra società, un compito di affiancamento ai propri alunni e alle loro famiglie in un processo di crescita, sviluppo e maturazione dell'individuo, hanno poi il compito di essere promotori della cultura del proprio paese e dell'incontro con altre realtà, di accompagnare le future generazioni verso un accrescimento didattico - educativo ma soprattutto verso un accrescimento umano personale e di relazione verso gli altri, quindi il compito di valorizzare l'incontro tra popoli”. Nell’appello, che al termine della raccolta firme verrà consegnato al Miur, si ricorda anche che quella del “docente è una delle professioni ad alto rischio di burn out, proprio per la mole di lavoro loro richiesta e per le pochissime risorse umane ed economiche a cui lo stesso può attingere nel miglioramento, tutela e prevenzione rispetto alla propria condizione con cui il professionista dell'istruzione si confronta”.

Il sindacato condivide in pieno le ragioni della petizione. I numeri a confronto con il resto d’Europa, del resto, sono più che eloquenti, anche per l’alto rischio di incorrere in malattie professionali. Sul trattamento economico, leggendo l’ultimo rapporto annuale dedicato agli stipendi degli insegnanti e dei capi di istituto dei 40 Paesi europei analizzati da Eurydice, la rete europea che raccoglie, analizza e diffonde informazioni sulle politiche, la struttura e l’organizzazione dei sistemi educativi europei, emerge, dai dati a confronto pubblicati dall’Indire, che “negli ultimi sette anni gli stipendi degli insegnanti continuano a registrare un aumento o una stabilità nella maggioranza dei Paesi europei”.

Solo per citare alcuni esempi: in Germania, i 16 Länder stabiliscono gli stipendi dei dipendenti pubblici e li incrementano regolarmente per compensare l’inflazione; in Danimarca, il contratto generale del 2015 prevede aumenti salariali e indennità aggiuntive per gli insegnanti di tutti i livelli; in Spagna, la legge finanziaria del 2016 ha stabilito un aumento dell’1% degli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, compresi gli insegnanti, con effetto dal 1 gennaio 2016; anche nei Paesi Bassi, una recente riforma del governo sugli stipendi ha previsto un aumento generale delle remunerazioni per tutti i dipendenti pubblici; in Portogallo, nel 2015, il governo ha revocato i tagli degli stipendi approvati nel 2014.

“In tre Paesi – scrive Eurydice - sono state attuate riforme più mirate alla categoria. In Inghilterra, per esempio, c’è stato, oltre a un incremento dell’1% degli stipendi degli insegnanti nell’ambito della politica del governo di adeguamento generale degli stipendi di tutti i dipendenti del settore pubblico, un ulteriore incremento del 2% dello stipendio contrattuale massimo, nell’ottica di rendere più attrattiva la professione docente nella prima fase della carriera, dove più alto è il rischio dell’abbandono della professione. In un altro gruppo di Stati, gli stipendi dei docenti non hanno subìto cambiamenti significativi rispetto agli anni precedenti. Nella fattispecie, in Belgio, Francia, Croazia, Lettonia, Lussemburgo, Polonia, Finlandia, Irlanda del Nord e Bosnia e Erzegovina”.

“Solo in Italia e a Cipro – si legge ancora nel Rapporto europeo - continuano a rimanere congelati gli stipendi dei dipendenti pubblici (compresi quelli degli insegnanti). Il governo italiano, infatti, per ridurre il deficit pubblico, ha congelato gli stipendi nel 2010, inizialmente fino al 2013, ma la misura è stata estesa da allora ogni anno”. Inoltre, “la differenza tra gli stipendi contrattuali minimi e massimi e il numero di anni di servizio necessari per raggiungere il massimo dello stipendio variano in maniera significativa da Stato a Stato. Se i docenti di alcuni Stati percepiscono lo stipendio contrattuale massimo relativamente presto nella loro carriera, in molti Paesi possono occorrere più di 30 anni: Spagna (39 anni), Croazia (35 anni), Italia (35 anni), Repubblica ceca e Slovacchia (32 anni)”.

“Per quanto riguarda, infine, le indennità percepite in aggiunta allo stipendio di base, dal rapporto emerge che la maggioranza dei Paesi europei le assegna principalmente in ragione delle responsabilità aggiuntive e del lavoro extra richiesto ai docenti. Tuttavia, in 16 sistemi educativi, gli insegnanti possono essere premiati con remunerazioni aggiuntive anche per la qualità del loro lavoro, in seguito a un giudizio positivo sulle loro performance o sulla base dei risultati dei loro studenti”. In Italia, ricordiamo, il Fondo d’Istituto è stato tagliato pesantemente, per poi risalire ma attestandosi comunque oggi non oltre la metà rispetto a quello del 2011. E anche il bonus annuale del merito, introdotto con la Legge 107/2015, prevede l’assegnazione media di alcune centinaia di euro lorde a solo un docente su tre.

A fronte di questo quadro impietoso, l’Anief ricorda che i sindacati rappresentativi si apprestano a sottoscrivere un contratto di categoria che non soddisfa assolutamente le esigenze di allineamento degli stipendi dei docenti italiani a quelli europei. Nell'intesa raggiunta a fine novembre, come nell’Atto di indirizzo del Miur, manca persino il recupero dell’indennità di vacanza contrattuale allineata all'inflazione, la parità di trattamento tra personale precario e di ruolo con la valutazione per intero del servizio pre-ruolo nelle ricostruzione di carriera, la rivisitazione degli stipendi per il personale Ata e dell'infanzia e primaria, l'istituzione dell'area della vice-dirigenza? e l'adeguamento delle norme alle direttive dell’Unione europea. Il giovane sindacato, proprio alla luce di tali gravi mancanze, chiede pubblicamente l’avvio di un referendum preventivo tra i lavoratori della scuola, in attesa delle prossime elezioni Rsu quando decideranno con il voto il favore alle idee di concertare con il Governo.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “le organizzazioni sindacali rappresentative, firmatarie del contratto di categoria, non devono sottoscrivere quell'accordo. Da quando il contratto è sbloccato, cioè da settembre 2015, doveva essere riallineata l'inflazione all'aumento del costo della vita intercorso tra il 2008 e il 2015, al 50% come prevede la legge. Ma ciò non è avvenuto. Addirittura per il Mef, come per il Governo, quell’indennità, da corrispondere per legge, dovrebbe rimanere congelata fino al 2021. Inoltre, se si firma questa bozza di contratto, il lavoratore prenderebbe solo a partire dal 2018 appena 85 euro, al netto di 105 euro in media mensili che potrebbe percepire proprio se si sbloccasse l'indennità di vacanza contrattuale, senza firma del contratto vita natural durante. Che fanno almeno 210 euro di aumento rispetto a quelli proposti dal Governo e ancora da finanziare in larga parte”.

“Detto questo – continua Pacifico - è arrivato il momento di chiedere espressamente il parere dei lavoratori, organizzando un referendum dopo una chiara campagna informativa. Quando diventerà rappresentativa, il prossimo anno grazie alla vicina campagna Rsu del 2018, Anief s'impegnerà su ogni tema d'interesse dei lavoratori a indire assemblee sindacali in ogni provincia per acquisirne il parere. I contratti non si firmano sulla pelle dei lavoratori: a volte è meglio non firmare e ricorrere al giudice”.

Anief ricorda che per interrompere i termini di prescrizione e richiedere il 7% in più di IVC da settembre 2015, come previsto dalla Consulta, è ancora possibile inviare la diffida al Miur. Inoltre, è possibile aderire direttamente al ricorso.(16/08/2017-ITL/ITNET)

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