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CULTURA ITALIANA NEL MONDO - WEKEEND ITALIA - i RACCONTI SOSPESI DE "LA TERRA INQUIETA" ALLA TRIENNALE DI MILANO

(2017-08-14)

  Ultimi giorni alla Triennale di Milano e Fondazione Nicola Trussardi per La Terra Inquieta, una mostra ideata e curata da Massimiliano Gioni, promossa da Fondazione Nicola Trussardi e Fondazione Triennale di Milano, parte del programma del Settore Arti Visive della Triennale diretto da Edoardo Bonaspetti.

La mostra, aperta al pubblico fino al 20 agosto 2017, è il frutto della collaborazione tra due istituzioni che da sempre mettono al centro della loro missione il presente in tutte le sue accezioni, prestando attenzione ai linguaggi più sperimentali e innovativi dell’arte e della cultura contemporanea e con la capacità di dare voce a fenomeni portatori di cambiamenti profondi.

La Terra Inquieta – che prende a prestito il titolo da una raccolta di poesie dello scrittore caraibico Édouard Glissant, da sempre affascinato dal problema della coesistenza tra culture diverse – è dunque la condivisione di un progetto, urgente e doveroso, che ha l’ambizione di raccontare il presente come un territorio instabile e in fibrillazione: una polifonia di narrazioni e tensioni.

Attraverso le opere di più di sessantacinque artiste e artisti provenienti da vari paesi del mondo – tra cui Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Ghana, Iraq, Libano, Marocco, Siria e Turchia – e con un allestimento che si estende all’interno della galleria al piano terra della Triennale per proseguire al piano superiore, La Terra Inquieta parla delle trasformazioni epocali che stanno segnando lo scenario globale e la storia contemporanea, in particolare affrontando il problema della migrazione e la crisi dei rifugiati.

Attraverso installazioni, video, immagini di reportage, materiali storici e oggetti di cultura materiale, La Terra Inquieta esplora geografie reali e immaginarie, ricostruendo l’odissea dei migranti e le storie individuali e collettive dei viaggi disperati dei nuovi dannati della Terra.

  Il percorso si snoda attraverso una serie di nuclei geografici e tematici – il conflitto in Siria, lo stato di emergenza di Lampedusa, la vita nei campi profughi, la figura del nomade e dell’apolide – a cui si intersecano opere di forte impatto: vere e proprie metafore visive e monumenti precari eretti a commemorazione di questo nostro breve e instabile scorcio di secolo.

La Terra Inquieta è un romanzo corale di moltitudini troppo spesso lasciate senza nome. Seguendo le trasformazioni dell’economia e le relazioni pericolose che si intrecciano tra corpi, merci, capitali e rotte di scambio e commercio nell’epoca della globalizzazione, la mostra compone un ritratto collettivo capace di restituire voce e dignità alle moltitudini senza volto della contemporaneità. Al centro dell’esposizione, ad esempio, è
posta l’installazione video The Mapping Journey Project dell’artista marocchina Bouchra Khalili: con semplicità disarmante, l’installazione raccoglie le storie di migranti che hanno attraversato interi continenti alla ricerca di un varco nella fortezza Europa. Come nei video di Khalili, mescolando biografie individuali e collettive, la mostra ripercorre le metamorfosi del paesaggio e le forze economiche e sociali che trasformano e plasmano
un mondo sempre più interconnesso e globale.

Ponendo l’accento sulla produzione artistica e culturale più che sulla cronaca, La Terra Inquieta si concentra in particolare sul ruolo dell’artista come testimone di eventi storici e drammatici e sulla capacità dell’arte di affrontare cambiamenti sociali e politici. Mentre i media e la cronaca ufficiale raccontano di guerre e rivoluzioni viste a distanza, molti artisti conoscono e descrivono in prima persona il mondo da cui provengono i
migranti e per questo ne parlano con il senso di responsabilità di chi vuole restituire la complessità di un evento drammatico senza incorrere nelle consuete banalizzazioni e nei sentimentalismi ai quali siamo abituati dai tradizionali canali di informazione. Il risultato sono opere d’arte in cui i codici tradizionali del giornalismo e della narrazione documentaria si accompagnano ad approcci più vicini a quelli della letteratura,  dell’autobiografia e della finzione. È precisamente in questo scontro tra narrazioni discordanti che l’opera di molti artisti cerca di inserire un coefficiente di dubbio e di critica al linguaggio delle immagini e dei mezzi di comunicazione di massa, rivelando una rinnovata fiducia nella responsabilità dell’arte di raccontare e trasformare il mondo: non solo immagini di conflitti, ma anche immagini come terreno di incontro, scontro e scambio di punti di vista.

Nascono così racconti – sospesi tra l’affresco storico e il diario in presa diretta – da cui emerge una concezione dell’arte come reportage lirico, documentario sentimentale e come testimonianza viva, urgente e necessaria. Ne sono un esempio opere di artisti come John Akomfrah, Yto Barrada, Isaac Julien, Yasmine Kabir, Steve McQueen, tra gli altri, capaci di affrontare eventi specifici e di porsi allo stesso tempo come letture metaforiche di un più vasto momento storico. Nelle loro opere è la nozione stessa di crisi e di indecisione a essere trasformata in un metodo narrativo e in una funzione analitica ed estetica.

La Terra Inquieta apre una riflessione sul diritto all’immagine che è un altro dei temi fondamentali affrontati dai molti artisti contemporanei il cui lavoro si confronta con la rappresentazione delle migrazioni globali e della crisi dei rifugiati. Alle prese con un regime dell’immagine contraddistinto dalla voracità dei mezzi di comunicazione, molti artisti contemporanei cercano nuove modalità con cui rappresentare i migranti senza sottoporli alla spettacolarizzazione tipica del giornalismo più sensazionalistico. Lo sguardo obliquo delle fotografie di Yto

Barrada, le elisioni di volti e dettagli nei video di Mounira Al Solh o le trasformazioni grottesche nei disegni e nelle animazioni di Rokni Haerizadeh, sono solo alcuni degli esempi più lampanti – insieme al rifugiato ritratto da Phil Collins – con cui questi artisti della crisi globale rifiutano di soccombere all’estetizzazione della miseria e cercano piuttosto di restituire dignità ai migranti, ritraendoli come soggetti storici, capaci di Compiere scelte e decisioni, o proteggendoli dall’eccesso di visibilità a cui sono sottoposti dai media. È lo stesso atteggiamento che con metodi diversi – più simili a quelli dell’attivismo politico e della partecipazione collettiva – inseguono artisti diversi come Pawel Althamer, Andrea Bowers, Tania Bruguera, Paulo Nazareth e Liu Xiaodong.

La ricerca di una dignità dell’immagine si accompagna anche, nell’opera di molti artisti di oggi, a una ricerca sulla funzione commemorativa e monumentale della scultura. Artisti come Adel Abdessemed, Kader Attia, Banu Cenneto?lu, Meschac Gaba, Thomas Schütte, Andra Ursuta e Danh Võ si confrontano con la tradizione del monumento funebre ripensandola in una chiave contemporanea. Molte delle opere in mostra
appaiono instabili e fragili, accomunate da una strategia della precarietà: svuotati di ogni eccesso di sentimentalismo, questi nuovi monumenti sono invece investiti di un senso di indignazione più consono a una dimostrazione di strada o a un atto di guerriglia che a una commemorazione ufficiale.
Uno degli interrogativi centrali della mostra è il senso dell’immagine in crisi e della crisi: un’immagine essa stessa migrante, che cerca la verità nella crisi e che mette in crisi il concetto di verità come narrazione univoca e semplicistica. Quella che inseguono molti artisti contemporanei è un’immagine in movimento e un’immagine letteralmente commuovente. Diversi sono gli esempi di opere in mostra in cui gli artisti rappresentano il
movimento e le migrazioni di merci, oggetti e forme attraverso confini e barriere, sia ideologiche sia economiche. Dalle opere di El Anatsui, Alighiero Boetti, Hassan Sharif e Mona Hatoum emerge una cartografia di scambi e relazioni globali in cui le opere d’arte sembrano replicare i traffici del commercio e dell’economia internazionale.

  La scelta dei materiali e delle tecniche di esecuzione, con la loro enfasi su oggetti e prodotti di massa spesso riciclati e sottoposti a processi di trasformazione e traduzione attraverso nazioni e contesti sociali diversi, mette in scena una sorta di mimesi dei meccanismi di produzione e distribuzione dell’industria globale con i suoi continui sconfinamenti e processi di delocalizzazione. Analoghe sono le preoccupazioni di artisti e collettivi come Šejla Kameri?, Forensic Oceanography o multiplicity, il cui lavoro racconta però non di merci ma di persone.

La Terra Inquieta è il racconto di uomini che attraversano confini e – assai più tristemente – la storia di confini che attraversano gli uomini. Ma soprattutto la mostra è un esercizio di empatia e un esperimento di comprensione e dialogo tra culture. Come ricorda la placca apposta alla base della Statua della Libertà – ritratta nel video di Steve McQueen che conclude l’esposizione – la madre degli esuli accoglie gli stanchi, i poveri, le masse infreddolite, gli scossi dalle tempeste e i rifiuti miserabili delle vostre spiagge.

La mostra La Terra Inquieta è accompagnata da un catalogo bilingue, italiano e inglese, a cura di Massimiliano Gioni. Il volume, pubblicato da Electa con prefazione di Clarice Pecori Giraldi e introduzione di  Beatrice Trussardi, raccoglie testi monografici e approfondimenti su tutti gli artisti presenti in mostra, a cura di Natalie Bell, Micola Brambilla, Juli Brandano, Gary Carrion-Murayari, Mira Dayal, Matthew Erickson, Margot
Norton, Rachel Wetzler. Il catalogo include infine una raccolta di saggi e testi critici di Massimiliano Gioni, Tania Bruguera, Alessandro Dal Lago, T.J. Demos, Giusi Nicolini. Il progetto grafico della mostra e dei prodotti editoriali è firmato da Christoph Radl.
La Terra Inquieta è realizzata con il sostegno di Fondazione Cariplo.(14/08/2017-ITL/ITNET)

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