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IL LAVORO NERO IN ITALIA - INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO AL LAVORO ROSA RINALDI A BARI

(2007-07-03)

    ?La lotta al lavoro nero ed irregolare, sia sul versante delle politiche attive che sul versante dell?attivit? di vigilanza, fin dal momento del suo insediamento, per il nostro Governo ha rappresentato un obiettivo prioritario ed assolutamente strategico, necessario per restituire centralit? alle persone nel lavoro, per garantire una piena e buona occupazione, per contrastare la concorrenza sleale valorizzando il bagaglio di saperi, esperienze e competenze gi? presenti nelle Istituzioni preposte al controllo e alla vigilanza, per contribuire alla crescita sociale ed economica del nostro Paese?.

  Cos? la sottosegretaria al lavoro, Rosa Rinaldi nella sua relazione introduttiva al Convegno nazionale ?le politiche del Governo per la lotta al lavoro nero? che si ? tenuta oggi a Bari, organizzata da Ministero del Lavoro, Regione Puglia, Isfol, Inail, Italia Lavoro ed Inps

      ? una questione che nel nostro Paese ha assunto dimensioni gigantesche ed oggi ? pi? ampiamente percepita dall?opinione pubblica anche per effetto di importanti e coraggiose inchieste giornalistiche.?La valutazione compiuta dall?Istat sull?economia sommersa- ha spiegato Rinaldi -  ci fornisce una stima presuntiva minima/massima, iscritta in una ?forchetta? che da una parte individua la percentuale di prodotto interno lordo italiano che ? certamente ascrivibile al sommerso economico (ipotesi minima) e dall?altra la percentuale del prodotto interno che ? presumibilmente derivante dallo stessosommerso economico, ma ? difficile misurare in modo certo, data la commistione tra problematiche di natura statistica e di natura economica da cui essa origina (ipotesi massima)?.

  Nel 2004, i valori stimati oscillano tra un minimo del 16,6% del PIL (pari a circa 230 miliardi di euro) e un massimo del 17,7% (pari a circa 246 miliardi di euro). Il maggiore o minore accostamento nel tempo delle due misure del sommerso secondo Istat, pu? essere spiegato dai comportamenti delle imprese, che in alcuni periodi tendono a seguire forme di evasione diversificate. I dati evidenziano, in particolare, che negli anni successivi alle regolarizzazioni degli immigrati si riduce la parte di valore aggiunto sommerso attribuibile al lavoro non regolare
(compresa nell?ipotesi minima), mentre crescono altre forme di evasione (in parte comprese nell?ipotesi massima) come, ad esempio, i fuori busta e/o l?utilizzo improprio di forme di lavoro a carattere atipico (che spesso celano forme di elusione delle norme contrattuali e previdenziali).

  Il valore aggiunto sommerso nel 2004 supera il 20% del PIL dell?agricoltura e dei
servizi, mentre si attesta all?11% nel settore dell?industria. Ma il peso dei settori cambia, in modo significativo, quando si analizza il valore aggiunto sommerso nella sua ripartizione settoriale, perch? i servizi sono responsabili dell?80,4% del valore aggiunto dell?economia sommersa, seguiti a distanza dall?industria con una quota del 17,2%, fino a raggiungere livelli minimi nell?agricoltura con il 2,4% del totale.

  I calcoli riferiti al numero di persone coinvolte dal fenomeno ci danno una stima ufficiale di circa 2 milioni e 951 mila unit? di lavoro non regolari (calcolate attraverso la trasformazione in unit? a tempo pieno delle posizioni lavorative ricoperte da ciascuna persona occupata nel periodo di riferimento). Previsioni impressionanti, che tuttavia ancora sottostimano il fenomeno dell?irregolarit? lavorativa laddove Istat esplicitamente esclude dal calcolo tutta la vasta area dei rapporti parasubordinati, che nel periodo 2000/2004 hanno fatto crescere l?input di lavoro regolare nelle stime dell?Istituto del 5,9%.

    Proprio questa area ? stata oggetto di un?apposita norma in Finanziaria, finalizzata a promuovere la stabilizzazione dei rapporti di lavoro di cui la circolare n. 17 del Ministro Damiano, riferita al settore dei Call Center, ha in parte anticipato i principi ispiratori. L?ambito d?intervento - non statisticamente compreso nella rilevazione del lavoro irregolare ? ha riguardato, tuttavia, un abuso ed un uso distorto dei rapporti contrattuali atipici, che in effetti in questi anni sono andati a contrattualizzare su larga scala rapporti di lavoro che avevano invece natura e condizioni di lavoro subordinato. Perci?, si iscrive in un?area grigia tra lavoro nero e regolare, realizzando per questa via, oltre ad una precarizzazione anomala dei rapporti di lavoro, anche una consistente
riduzione dei versamenti contributivi?.

  ?Cos? come appare sottostimata la partecipazione dei lavoratori stranieri irregolari non residenti, calcolati complessivamente per un valore corrispondente a sole 275 mila unit? di lavoro nel 2005, pari al solo 9,3% del totale.

  Dopo la forte contrazione registrata nel 2002, riconducibile alla regolarizzazione degli immigrati (647 mila regolarizzati nei due anni 2002-2003), il fenomeno dell?uso irregolare di manodopera straniera, infatti, sembrerebbe aver imboccato ancora una volta un andamento espansivo, in particolare nelle regioni meridionali, dove i dati ci parlano di una preoccupante e progressiva crescita dell?area del sommerso.

  Negli ultimi anni, infatti, si ? allargato il divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese rispetto ai tassi di irregolarit?, creando cos? un drammatico dualismo geografico, laddove le regioni del sud rasentano il 20% di tasso di irregolarit? contro una media del 12% per il Centro e del 9% del Nord. Sono dati che vanno letti in relazione ai bassi tassi di occupazione e alla fragilit? del sistema produttivo meridionale, alla debolezza e frammentariet? del controllo e presidio del territorio e che ci parlano di un?emergenza sociale e politica in cui la lotta al lavoro nero e per processi di emersione ? condizione indispensabile per lo sviluppo e la crescita economica.
 
      Ma il problema del lavoro irregolare e dell?economia sommersa ? e rimane una grande questione nazionale che parla della qualit? del lavoro, del sistema economico e produttivo, della democrazia, delle politiche di sviluppo e distributive di tutto il Paese, se pensiamo, ad esempio, all?enorme danno che ne deriva sul fronte previdenziale in cui l?evasione dei contributi sociali corrisponde ad una perdita per gli enti previdenziali pari a circa 40 miliardi di euro l?anno.

    Nel confronto con l?Europa verifichiamo che la situazione in ambito comunitario si presenta con modalit? molto difformi a seconda che guardiamo ai 15 paesi di prima adesione, dove la quota del lavoro irregolare sul PIL si attesta ampiamente sotto la media del 5%, mentre nei paesi di nuova adesione, il fenomeno si attesta normalmente oltre il 17% del PIL?.

  ?Dati che ci confermano come la nostra economia, nel rapporto tra ricchezza prodotta e regolarit? del sistema di produzione, sia fortemente atipica rispetto a quella dei paesi con i quali maggiormente ci confrontiamo sui mercati internazionali (Germania, Francia, Paesi Bassi e Spagna) e che presenti invece caratteristiche strutturali pi? simili a quelle dei paesi neocomunitari, costituendo un paradigma del tutto originale in campo europeo rispetto alle modalit? di composizione della ricchezza collettiva e alle modalit? redistributive, che penalizzano fortemente il lavoro, sottraendo diritti e sicurezza. I dati del Ministero dell?Economia sono da questo punto di vista clamorosi ed
eloquenti: il sommerso economico ha la responsabilit? di una mancato gettito tributario, nel 2004, pari a 105 miliardi di euro, che corrispondo a circa 7 punti di PIL di entrate che non affluiscono all?erario. Se fossimo a livello dei nostri cugini d?oltralpe in incidenza del lavoro irregolare sul complesso dell?economia, avremmo la capienza per politiche di welfare di standard europeo.

    E? ora necessario voltare pagina, dopo anni in cui si sono indebolite le tutele, allargando condizioni di precariet? ed insicurezza nel mercato del lavoro, strategia erroneamente indicata come la strada maestra per realizzare l?aumento dell?occupazione e la crescita economica (03/07/2007-ITL/ITNET)

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