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ITALIANI ALL'ESTERO - FRANCIA /ITALIA - PROF.PUGLIESE (LA SAPIENZA): L'ATTUALE EMIGRAZIONE ITALIANA : UNA "NEBULOSA DOVE C'E' DI TUTTO"

(2019-03-25)

'L’emigrazione italiana in Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale'' e’ stato il tema affrontato dal Prof. Enrico Pugliese, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Sapienza Universita’ di Roma, durante il Convegno ‘Migrazioni e circuiti di scamb. (vedi: http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=57326).
io tra Italia e Francia dal XIX' secolo ad oggi’ svoltosi a Roma presso l'Ercole Francaise de Rome .

    Nel corso del suo intervento Enrico Pugliese ha ripercorso la parabola di questa rotta migratoria sottolineando come agli inizi del secolo scorso l’Italia fu per la Francia il paese che piu' contribui' all’emigrazione. E come la Francia permise una certa integrazione.
“Certo ci fu la pugnalata alla schiena: l’Italia fascista che aveva aggredito la Francia e questa che aveva reagito con politiche non di entusiastica apertura verso i vicini italiani. Ma la Francia ha anche accolto tanti antifascisti,” ha spiegato Pugliese.
"Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia e la Francia sono state pero’ costrette a volersi bene, ad accettarsi reciprocamente. Non avevano alternative. Gli Stati Uniti avevano chiuso le frontiere, il Sud America era diventato pericoloso, il Belgio permetteva qualche apertura ma l’emigrazione in quel paese era dura, soprattutto prima di Marcinelle. La Svizzera era poco disponibile. La Germania non era ancora esplosa. Restava dunque la Francia. La Francia che aveva bisogno di manodopera, di ripopolare delle aree, di ricostruire il paese. E l'Italia aveva molta forza lavoro che non riusciva a soddisfare. Fu cosi' che tanti contadini meridionali sconfitti se ne vanno come racconta il film ‘Il cammino della speranza’. L'emigrazione diventa cosi una necessita', una benedizione,” ha spiegato Pugliese.

“La Francia aveva accordi per il reclutamento. Erano pero' accordi-capestro: la stagione degli accordi fu una stagione di prepotenza. Bisogna comunque riconoscere che le condizioni in Francia non erano terribili, sicuramente pero' poco convenienti,” ha affermato Pugliese precisando come in Francia ci fossero anche numerosi clandestini che riuscivano comunque a lavorare. "La clandestinità a quei tempi non era un reato come lo e’ oggi,” ha aggiunto Pugliese.

“Con il passare degli anni i ‘ritals' non sono piu' oggetto di scherno. Avviene una progressiva apertura dei francesi e si giunge alla conclusione che l'emigrato italiano non e’ perfetto ma perfettibile. Gli emigrati italiani diventano cosi' i piu’ desiderati. A partire dagli anni Cinquanta, pero’, aumenta l’arrivo in Francia di spagnoli e portoghesi e i nuovi emigrati italiani scelgono la Germania e la Svizzera che offrono salari migliori. Si creano cosi'' nuove catene migratorie,” ha continuato Pugliese.

“Chiaramente la comunita’ italiana in Francia rimase molto estesa dato che con il tempo si era francesizzata. I figli dei lavoratori potevano infatti frequentare la scuola pubblica. E questo spiega l’inserimento nella societa’ francese di professori di origine italiana, l’affermarsi di artisti’ italiani… Cosa che non successe in Germania dove i lavoratori, i cosiddetti gastarbeiter, andavano e venivano a secondo delle stagioni,” ha chiarito Pugliese.

"Si riduce cosi' la presenza di italiani in Francia. Ci furono, e’ vero, alcuni ritorni, i decessi e l’acquisizione della cittadinanza francese. Come risultato, progressivamente, l'emigrazione italiana si deitalianizza e declina. Poi per 20 anni non succede nulla. Sino al 2007 quando l’emigrazione riprende.

Questa nuova emigrazione e’ pero' completamente diversa. Partono soprattutto dal Nord e non piu’ dal Sud: dopo 150 anni sono le regioni settentrionali quelle a piu' alta emigrazione. Inoltre, la nuova emigrazione e’ caratterizzata da una buona presenza femminile. Questo non vuol dire che prima le donne non partivano. Si spostavano e lavoravano ma erano soprattutto al seguito dei mariti,” ha spiegato Pugliese sottolineando come questa nuova mobilita’ sia in realtà una nebulosa dove c'é di tutto: dal ragazzo scolarizzato con master che prosegue il suo percorso di formazione e di lavoro all’estero (circa il 30%) al figlio dell’emigrante, sino ai lavoratori piu' umili.

“I nuovi migranti sono gia’ stati all’estero, conoscono la loro destinazione. E’ cambiata pero' la struttura occupazionale, e’ aumentata la precarieta’.
Come sempre quando si parla di emigrazione ci sono luci ed ombre, siamo davanti ad un fenomeno che quindici anni fa non avremmo immaginato di dover affrontare,” ha concluso Pugliese.

Tra i relatori presenti al convegno anche Catherine Wihtol de Wenden, Ceri- Sciences Po, che ha evidenziato come l’emigrazione italiana sia stata oggetto di molti stereotipi.
“I migranti italiani non sono stati sempre ben visti. Avevano famiglie troppo numerose, erano considerati troppo religiosi, poco laici. Dopo il 1946 diventano pero’ gli emigrati piu' desiderabili per la ricostruzione della Francia. Arriveranno meno numerosi che in precedenza, ne arriveranno invece molti da altri paesi europei come il Portogallo,” ha esordito Wihtol de Wenden ripercorrendo anche i rapporti tra Italia e Francia in merito a questioni internazionali come la Libia, paese per cui ci sono state tensioni per stabilire una supremazia.

Nel corso del suo intervento la politologa francese ha anche evidenziato come in questi anni l’Italia sia diventato un paese d’immigrazione, un paese spesso lasciato solo ad affrontare nuovi flussi migratori.

“Un altro elemento di convergenza tra le relazioni franco-italiane e’ stata la frontiera di Ventimiglia. Sarkozy e Berlusconi hanno ‘messo in scena’ la frontiera, definendola come un punto di accesso dei terroristi e mettendo cosi ‘a reddito’ la paura dell’emigrazione che permette di guadagnare elettori. Si gioca sulla sicurezza e per la prima volta si applica la chiusura delle frontiere autorizzata dal Trattato di Schengen in caso di gravi rischi.
Situazioni che si ripetono sino ad oggi con la chiusura e l'apertura della frontiera di Ventimiglia,” ha precisato Wihtol de Wenden soffermandosi anche su un'emigrazione meno studiata: la gestione di brigatisti come Cesare Battisti.
"Alla base di questa gestione, c’e' una visione diversa della situazione. Una visione che parte dalla
dottrina di Mitterrand: si accetta una specie di armistizio e si lasciano entrare terroristi se dichiarano che non continueranno la loro azione sovversiva. D’altra parte - afferma Catherine Wihtol de Wenden - l'Italia era contenta di esportare i brigatisti, le sue  prigioni erano piene e la Francia li ha accolti anche se poi alcuni di loro sono rientrati In Italia e hanno scontato la loro pena” ha concluso la ricercatrice. (25/03/2019-L.G.-ITL/ITNET)

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