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CULTURA ITALIANA NEL MONDO - SVIZZERA - A LUGANO IL DONGIOVANNI DI MOLIERE PER LA REGIA DI VALERIO BINASCO UNA PRODUZIONE DEL TEATRO STABILE DI TORINO

(2019-01-07)

  Il teatro Stabile di Torino presenta il  12 e 13 febbraio 2019 al Teatro LAC di  Lugano il DON GIOVANNI di Molière, per la regia di Valerio Binasco.

Valerio Binasco, nuovo Direttore artistico del Teatro Stabile di Torino dal 1 gennaio 2018, è un regista che ha saputo imporre una cifra stilistica di grande originalità, mantenendo al contempo il rispetto per i testi che mette in scena, senza che questo costituisca un ostacolo al coinvolgimento degli spettatori: «Quel che provo a fare, è mettere insieme quello che come regista e attore ho imparato da diverse fonti, dai maestri, dalle esperienze passate.

Oggi avvertiamo un’urgenza sacrosanta: ossia di recuperare il rapporto con il pubblico. Per questo, dobbiamo fare l’impossibile per renderci comprensibili, per emozionare ogni spettatore, per non farlo sentire “estraneo” rispetto all’opera».

Don Giovanni (interpretato da Gianluca Gobbi) è il leggendario seduttore, mito della letteratura europea, simbolo non soltanto dei trionfi e delle ceneri dell'eros, ma anche della rivolta della libido contro le remore della teologia.

  Comparso per la prima volta nel dramma di Tirso de Molina El burlador de Sevilla y Convidado de piedra, è con Molière che acquisisce spessore e si traduce in mito della letteratura europea. Il 1665 è l’anno di una nuova offensiva del drammaturgo francese contro la morale dei benpensanti, cui seguirà una nuova, violenta risposta da parte del “partito dei devoti”.

L’occasione si presenta con la sua nuova opera teatrale, Don Giovanni, che riprende il tema della religione già affrontato nel Tartufo. La commedia, in cinque atti in prosa, è strutturata in modo tale da far convergere tutte le scene sulla figura del protagonista. Molière seziona il tema della religione e della sua funzione nella morale e nella società. Il suo libertinaggio non è che una declinazione estrema della ricerca di libertà: anche nel momento in cui tale ricerca sfocia nell’ateismo e blasfemia non contraddice mai la figura dell’eroe-criminale solitario, che orgogliosamente osa portare la sua sfida anche contro Dio.
La difesa dei principi della religione e delle verità della fede viene assunta da Sganarello (interpretato da Sergio Romano), servitore ridicolo, che svilisce gli argomenti che tocca, inducendo a una caricaturale confusione tra religione e superstizione. Neanche la figura del Convitato di pietra, né il finale morale imposto dalla tradizione, riescono a riequilibrare la propensione degli spettatori verso l’immagine del libertino, immorale ed empio.

Afferma  Valerio Binasco: «Non credo che il teatro contemporaneo debba parlar di temi attuali o adottare un linguaggio ricalcato sulla realtà contemporanea. Mi pare che niente si affacci sulla nostra vita più di certi testi che sono stati capaci di resistere al tempo e di rimanere contemporanei – racconta il regista – Mi colpisce il fatto che Don Giovanni cerchi, con i
suoi comportamenti e crimini pericolosissimi, di mettere a tacere quella sorta di incubo che è nascosto in lui.
L’incubo della morte: penso sia questo quello a cui si ribella Don Giovanni, che sprigiona in lui un vitalismo incontrollato. Con questo Don Giovanni ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati a un protagonista emaciato, pre -esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche di Don Giovanni. Così a partire dal protagonista ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere Spagnoleggiante della prima tradizione, così come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso. Per quanto mi riguarda si tratta solo di divagazioni lontane da quella cosa che io chiamo “vita”.

  Cosa cerco? Cerco proprio Lui, il protagonista di questa storia, come posso immaginare che sia stato prima che nascesse la sua leggenda. Lo cerco nella vita, più che nel testo. Se lo cerco nella tradizione, Don Giovanni non c’è, c’è un fantasma letterario al suo posto. Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno, Don Giovanni è un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. È il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi, che coltiva per stare bene con se stesso, e non per autopunirsi in modo estetico (come nella tradizione vampiresca novecentesca), né di fare la rivoluzione culturale. Ma con una caratteristica: la propria scarsa consapevolezza di chi egli sia realmente nell’anima. Questo suo “non percepirsi” nel profondo, questo rifiuto a priori di considerare degno di interesse la coscienza di sé, è una condizione psicologica molto contemporanea, teatralmente interessante, poco indagata». (07/01/2019-ITL/ITNET)

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