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SICUREZZA SOCIALE - POVERTA', DISUGUAGLIANZA,INCLUSIONE- DAL CNEL:"ESTREMO RITARDO ITALIA ( REI SOLO 2017). FINANZIARE POLITICHE SOCIALI CON FONDI NAZIONALI A GARANZIA PRESTAZIONI... SOSTEGNO FAMIGLIE E GIOVANI

(2019-01-07)

  "Il contrasto alla povertà, il superamento delle disuguaglianze e le politiche per l’inclusione richiedono interventi molteplici il cui pilastro centrale sono le politiche sociali, da finanziare adeguatamente con la dotazione dei fondi nazionali a garanzia delle prestazioni, a partire da quelle definite e da definire come livelli essenziali, e l’infrastruttura territoriale che garantisca uniformità e adeguatezza della rete dei servizi a governance pubblica in ogni regione”.

E’ quanto sostiene il CNEL nel documento di Osservazioni e Proposte su “Povertà, disuguaglianze e inclusione”, in attesa di potersi esprimere sulle misure relative al reddito di cittadinanza.

Il documento è emanato in ottemperanza dell’art. 10 della legge 936/1986 secondo cui il Consiglio “può formulare osservazioni e proposte di propria iniziativa sulle materie indicate dalla legge”.

“L'Italia è in fortissimo ritardo sul contrasto alla povertà. La prima misura strutturale di contrasto è stata introdotta, con estremo ritardo, solo nel 2017 con l’introduzione del ReI. Con la crisi, che ha comportato un accrescimento dei bisogni di cura, inclusione e contrasto alla povertà, la dinamica della spesa socio-assistenziale, invece di segnare un incremento, ha registrato nel periodo 2013/2017 una tendenziale stagnazione, pur se con andamenti altalenanti, e peraltro si è andata riducendo in particolare proprio nella componente più importante del welfare territoriale e dei servizi”, si legge nel documento.

“Tra i fattori che determinano la maggiore incidenza della povertà nelle famiglie con figli minori ci sono l’insufficienza e la frammentazione di prestazioni e servizi pubblici a sostegno dei figli, che siano capaci di favorire la piena occupazione dei genitori, in particolar modo delle donne. Sono necessarie pertanto politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari che intervengano in maniera coordinata su congedi e permessi, sull’organizzazione del lavoro, su istituti innovativi disciplinati dalla contrattazione collettiva e, soprattutto, sul sistema dei servizi all’infanzia, che risultano ancora scarsamente diffusi”, aggiunge il CNEL.

Rispetto ai Paesi UE, l’Italia investe molto meno per l’esclusione sociale rispetto al proprio Pil (0,77% contro 1,8 %), per la famiglia ed i minori (5,98% contro 8,08%) per l’abitazione (0,12% contro 1,5%) (dati Eurostat 2018). Secondo la Corte dei Conti, infatti, nel 2017 la spesa per prestazioni assistenziali della Pubblica Amministrazione era composta per 38,2 miliardi da misure in denaro e soltanto poco più di 10 miliardi in servizi, per lo più a carico dei Comuni.

Tra i principali dati socio economici all’origine dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta e relativa c’è l’andamento della distribuzione dei redditi negli anni della crisi che ha visto un’ulteriore crescita della disuguaglianza, certificata dall’aumento dell’indice di Gini da 0,31 a 0,33 tra il 2008 e il 2016.

“Riteniamo fondamentale l’adozione di politiche pubbliche per l’inclusione educativa, sociale e lavorativa che operino in stretto coordinamento tra loro con la pluralità di strumenti, prestazioni e servizi necessari a ciascuna politica, a partire dalla diffusione e qualificazione del sistema di servizi per le famiglie con carichi di assistenza e cura e per la prima infanzia (integrato con lo 0-6 e del tempo pieno per l’inclusione educativa) e dal rafforzamento degli strumenti per il contrasto alla povertà assoluta e delle politiche attive per l’inserimento lavorativo", conclude il documento del CNEL.

iN PARTICOLARE, si legge nel documento:
L’Istat  ha  stimato  in  povertà  assoluta,  nel  2017,  1  milione  778  mila  famiglie residenti per un totale di 5 milioni e 58 mila individui, con una incidenza del 6,9% per le famiglie e 8,4% per gli individui. Valori, in crescita rispetto al 2016 ed  i più alti della serie storica (dal 2005).
La povertà relativa riguarda 3 milioni e 171 mila famiglie residenti (12,3%) e 9 milioni 368 mila individui (14,0%).
In  entrambi  i  casi  si  registra  un’incidenza  maggiore  nelle  regioni  del Mezzogiorno  (10,3%  povertà  assoluta,  24,7%  povertà  relativa),  in  un  quadro generale  che  vede  aumentare  la  povertà  in  tutte  le  aree  del  Paese  e  una
maggiore  incidenza  tra  le  famiglie  di  soli  stranieri  regolarmente  residenti (29,2% povertà assoluta e 34,5% povertà relativa).

I  recenti  dati  Eurostat  relativi  al  rischio  povertà  ed  esclusione  sociale confermano  l’acuirsi  di  una  situazione  del  nostro  Paese  già  caratterizzata  da  forti  squilibri  nella  distribuzione  del  reddito  e  di  ampie  sacche  di  povertà.
Infatti l’indice già elevato nel  2008, era pari al 25,5% della popolazione, è salito fino  al  28,9%  del  2017,  pari  a  quasi  17  milioni  e  mezzo  di  persone,  ciò  in  controtendenza rispetto a quanto accaduto nel complesso dell’Unione Europea
dove  si  è  una  riduzione  nel  medesimo  periodo  dal  23,7 %  al  22,5%.  In  Italia peraltro  tutte  le  componenti  di  questo  indice  (rischio  povertà,  grave  deprivazione e bassa intensità lavorativa) sono peggiorate.

Il profilo della povertà è peraltro radicalmente mutato rispetto alla situazione pre-crisi  perché,  secondo  i  dati  Istat  è  caratterizzato: da una maggiore incidenza delle famiglie numerose, in  particolare con figli  minori; dall’emergere del fenomeno in misura significativa anche in aree del paese precedentemente meno coinvolte  (in particolare al centro - nord), da  un  coinvolgimento  non  più  solo  delle  persone  fuori  del  mercato  del  lavoro (working  poor )  o  con  una  bassa  scolarizzazione  e  da  una  crescita  esponenziale nelle fasce più giovani della popolazione, soprattutto, tra i minori.

Tra  i  fattori  che  determinano  la  maggiore  incidenza  della  povertà  nelle famiglie con figli minori vi è la insufficienza e frammentazione di prestazioni e servizi  pubblici  a  sostegno  dei  figli  che  favoriscano  la  piena  occupazione  dei genitori, in particolar modo delle donne. Sono necessarie pertanto politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari che intervengano in maniera coordinata  su  congedi  e  permessi,  sulla  organizzazione  del  lavoro,  su  istituti innovativi disciplinati dalla contrattazione collettiva e, soprattutto, sul sistema dei servizi all’infanzia. Questi ultimi risultano ancora scarsamente diffusi, con riferimento  alle  diverse  tipologie  qualitativamente  appropriate  in  relazione alle  diverse  fasce  di  età,  ed  eccessivamente  onerosi,  per  cui  non  viene scongiurata  la catena  di  trasmissione  intergenerazionale  della  povertà, generata in particolare dalla disuguaglianza di opportunità in età scolare, e la dispersione scolastica.

Tra i principali dati socio economici all’origine dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta e relativa c’è l’andamento della distribuzione dei redditi negli  anni  della  crisi  che  ha  visto  un’ulteriore  crescita della  disuguaglianza, certificata  dall’aumento  dell’indice  di  Gini  da  0,31  a  0,33  tra  il  2008  e  il  2016.
Una crescita dovuta ad un calo molto più forte, durante la crisi, dei redditi del 10%  più  povero  della  popolazione  (intorno  al  35% a fronte di una media sensibilmente  inferiore al 10%  per le altre classi reddituali),  cui non sono corrisposte adeguate    politiche    pubbliche    di    sostegno    ai    redditi    e all’occupazione.
La  rete  pubblica  dei  servizi  per  il  lavoro  è  composta  da  501  Centri  per l’impiego  principali, da  cui  dipendono ulteriori  51  sedi  secondarie  e  288  sedi distaccate  o  sportelli  territoriali.  La  spesa  pubblica  destinata  a  finanziarie  i servizi per il mercato del lavoro in percentuale del PIL, nel 2015, è stata dello 0,04%,  rispetto  allo  0,36%  della  Germania  e  lo  0,25%  della  Francia,  in  termine di  spesa  per  disoccupato  e  forza  lavoro  potenziale,  in  Germania  la  spesa  è stata  di  circa  3.700  euro  pro-capite,  in  Francia  di  circa  1.300  euro,  in  Italia  di circa 100 (Anpal, 2017).

l Il  ritardo  strutturale nell’infrastruttura  pubblica  delle  politiche  attive  è certificato, inoltre, dai dati relativi all’elevato rapporto tra operatori e persone in cerca di occupazione, un rapporto ostativo di un’adeguata presa in carico.
A questi dati sulla cresciuta e crescente porzione di popolazione in condizione di  povertà  e  a  rischio  povertà,  che  coinvolge  in  misura  maggiore  determinate segmenti di popolazione, si sommano quelli  sull’immobilità sociale del Paese
che  lasciano  presagire  una  cristallizzazione  della  situazione  in  assenza  di  un deciso intervento pubblico: circa il 60% dei figli di genitori con un basso grado di  istruzione,  resta  con  lo  stesso  livello;  il  40%  dei  figli  di  lavoratori  manuali,
ha  un  lavoro  manuale,  il  31%  di  chi  ha  genitori  con  basse  retribuzioni, percepisce basse retribuzioni (fonte: Ocse 2018).

La  prima  misura  strutturale  di  contrasto  alla  povertà,  in  Italia,  è  stata introdotta,  con  estremo  ritardo,  solamente  nel  2017  con  l’approvazione  del decreto  147/2017  Disposizioni  per  l’introduzione  di  una  misura  nazionale  di contrasto alla povertà (ReI), entrata in vigore il 1 gennaio 2018.
I dati forniti dall’Inps sui beneficiari del Reddito di Inclusione (aggiornati al 19  luglio 2018) mostrano che nel I semestre 2018 sono stati percettori della misura 266.653 nuclei familiari (in prevalenza con  presenza di minori: 168.580), per un
totale  di  840.745  individui  coinvolti,  con  un  importo  medio  di  307,99  euro.  A questi  potremmo  aggiungere  le  44.249  famiglie  che  fanno  ricorso  alla  vecchia  misura  sperimentale  (il  SIA),  ma  che  in  gran  parte  potranno  trasformare  nel  REI,  ottenendo  un  numero  di  famiglie  superiore  a  310.000,  ovvero  oltre  un milione  di  individui.  Si  tratta  di  una  quota  assai  rilevante  (oltre  il  60%)  delle famiglie potenzialmente interessate, stimate dal governo pari a 500.000.

Dal 1 luglio 2018, la misura è condizionata al soddisfacimento dei soli requisiti economici,  divenendo  così  potenzialmente  universale. 

Dal  1  gennaio  2019,  a  normativa vigente, l’erogazione del beneficio economico previsto dalla misura non  sarà  erogato  se  non  dopo  aver  sottoscritto  un  progetto  personalizzato predisposto in seguito alla valutazione del servizio sociale del Comune, il cui ruolo  diviene  cruciale  nell’identificazione  della  causa  o  delle  cause  (nel  qual caso  di  deve  attivare  un’equipe  multidisciplinare)  che  hanno  causato  la condizione di povertà.
La realizzazione della misura di contrasto alla povertà, prevedendo la presa in carico  da  parte  dell’équipe,  investe  dopo  anni  sulla  rete  dei  servizi  sociali territoriali    ed    in    particolare    nel    potenziamento    del    Servizi o    sociale
professionale.  Il parametro a cui gli ambiti territoriali dovranno adeguarsi nel triennio è di 1 assistente  sociale  per  5000  abitanti.  I  dati  attuali,  parziali,  mostrano  come  tale proporzione  non  sia  raggiungibile  in  molte  regioni.

  La  tabella  mostra  infatti tutti  gli  Assistenti  sociali  che  dichiarano  (dato  CNOAS)  di  esercitare  presso Enti  locali,  ma  non  tiene  conto  né  dei  professionisti  incaricati  di  attività direttiva, di coordinamento o di back office (quindi non a diretto contatto con la popolazione) e non può dirci quanti di questi sono in astensione dal lavoro per maternità, malattia o altro incarico. Vanno quindi considerate queste cifre come  stimate  per  eccesso.  Un  riferimento  può  essere  anche  il  numero  di Assistenti sociali suddivisi per comune, la proporzione è di poco superiore a 1 mostrando i limiti della struttura.

Risorse per l’inclusione sociale nell’ambito della protezione sociale. 
La spesa per la protezione sociale italiana pur essendo sostanzialmente in linea in  rapporto  al  Pil  con  la  media  dei  Paesi  UE  a  19  (29,9%  rispetto  al  29,3%)  ha una incidenza della spesa pro capite inferiore. 
Se analizziamo questa spesa nella ripartizione per tipo di bisogno, emerge che nel  confronto  con  la  media  UE  il  nostro  Paese  investe  molto  meno  per l’esclusione sociale rispetto al proprio Pil (0,77% contro 1,8 %), per la famiglia ed  i  minori  (5,98%  contro  8,08%)  per  l’abitazione  (0,12%  contro  1,5%)  (dati Eurostat 2018).

Sempre  considerando  il  medesimo  confronto  emerge  che la  percentuale  di prestazioni  sociali  in  natura  (quindi  sostanzialmente  servizi)  risulta  in  Italia molto bassa, così come assai contenuta è la spesa sociale sottoposta alla prova
dei mezzi.

Con  la  crisi -    che  ha  comportato  un  accrescimento  dei  bisogni  di  cura, inclusione e contrasto alla povertà
–  la dinamica della spesa socio assistenziale invece  di  segnare  un  incremento  ha  registrato  nel  periodo  2013/2017  una tendenziale  stagnazione (pur  se  con  andamenti  altalenanti)  e  peraltro si  è andata riducendo in particolare proprio nella componente più importante del welfare territoriale e dei servizi.Secondo la Corte dei Conti infatti nel 2017 la spesa Per  prestazioni  assistenziali  della  Pubblica  Amministrazione  era composta  per  38,2  miliardi  da  misure  in  denaro  e  soltanto  poco  più  di  10 miliardi in servizi, per lo più a carico dei Comuni.

Risulta  pertanto  molto  importante  il  ruolo  dei  Fondi  nazionali  finalizzati  a sostenere gli interventi ed i servizi sociali territoriali: 
- Nazionale Politiche Sociali - Non autosufficienza - Dopo di Noi” - Caregivers familiari” - lotta alla Povertà e esclusione sociale  - Famiglia - Infanzia ed adolescenza (Città riservatarie) - Politiche giovanili - Pari opportunità - piano antiviolenza
- Centri antiviolenza e case rifugio


Per  entrare  maggiormente  nello  specifico  delle  dotazioni  dei  maggiori  Fondi:
Il Fondo Nazionale  per le politiche sociali, per il 2018, ammonta a 275,9 milioni di  euro,  per  l’anno  2019  e  2020  di  280,9  milioni  di  euro,  importo  che  secondo  quanto  stabilito  dalla  Rete  per  la  protezione  e  l’inclusione  sociale,  sarà
destinato  almeno  per  il  40%  al  rafforzamento  degli  interventi  e  dei  servizi nell’area  dell’infanzia  e  dell’adolescenza.

  Il  Fondo  per  le  non  autosufficienze ha  una  dotazione  di  450  milioni  di  euro  annui  per  il  triennio  2018-2020,  così
come  il  fondo Caregiver può  contare  su  20  milioni  annui.  L’ammontare  del Fondo  Dopo  di  Noi  è  di  51,1  milioni  per  il  biennio  2018 -2019,  incrementato  a 56,1 per il 2020. Il Fondo infanzia e adolescenza destinato ai comuni riservatari
è  di  28,3  milioni  di  euro  per  il  2018,  incrementati  a  28,8  per  il  biennio  2019-2020.

Il Fondo Nazionale per la lotta alla povertà per il 2018 ha una dotazione pari a 2.059 milioni di euro, per l'anno 2019 pari a 2.545 milioni di euro e a decorrere dall’anno  2020  pari  a  2.745  milioni  di  euro,  cui  si  aggiungono  le  risorse  del  PON inclusione.
Complessivamente,  quindi,  considerando  sia  gli  stanziamenti  previsti  nel bilancio  del  Ministero  del  Lavoro  e  delle  Politiche  Sociali  che  del  Ministero dell’Economia  e  delle  Finanze  le  risorse  stanziate  per  lo  sviluppo  del  sistema dei  servizi  alla  persona ammontano  per  il  2018  a  poco  più  di  3,3  miliardi  di euro,  con  un  andamento  che  ha  ripreso  una  dinamica  in  crescita,  dopo  aver subito,  come  già  accennato,  pesanti  riduzioni  proprio  negli  anni  della  crisi
economica e delle manovre di spending review

Dal  2013  infatti  vi  è  stata  una  inversione  di  tendenza  che  ha  permesso un  parziale  recupero e  dal  2015  la  stabilizzazione  di  alcuni  Fondi  ed  il  varo  del Rei  con  la  quota  destinata  allo  sviluppo  dei  servizi  ha  permesso  anche
un avvio nella definizione dei livelli essenziali.
Il quadro complessivo però risulta ancora caratterizzato da risorse insufficienti ed incapaci di superare i gap territoriali, eccessivamente frammentato e con un andamento  instabile  che  induce  incertezza  nella  programmazione  dei  vari
livelli di governo del sistema.
Anche  la  spesa  sociale  dei  comuni,  aggiornata  al  2015,  (cfr.  Corte  dei  Conti) che era pari a circa 7 miliardi, è tornata soltanto negli ultimi anni ai valori del 2010 dopo anni di flessione (mentre la spesa pro capite risulta ancora inferiore a  quella  del 2009).  Ciò  ha  comportato  un  contemporaneo  arretramento  dei servizi rispetto alla domanda potenziale. 

Peraltro  non  accenna  a  diminuire  la  già  profonda  divaricazione  sia  nella distribuzione delle risorse tra le Regioni e a volte anche all’interno delle stesse, come  anche  nella  diffusione  e  copertura  dei  servizi  e  si  evidenzia,  infine,  una
concentrazione  di interventi  rivolti  alle  politiche  per  la  famiglia  e  i  minori (38,6%), soprattutto legata ai servizi alla prima infanzia. 
Pertanto, va investito ulteriormente per contrastare diseguaglianza e povertà e garantire quella “tenuta sociale” che è presupposto della crescita sostenibile ed inclusiva  al  centro  delle  stesse  strategie  europee  e  degli  obiettivi  definiti
dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu.

Politiche da attuare.
Il contrasto alla povertà, il superamento delle disuguaglianze e le politiche per l’inclusione  richiedono  interventi  molteplici  il  cui  pilastro  centrale  sono  le  politiche  sociali,  da  finanziare  adeguatamente  con  la  dotazione  dei  Fondi  nazionali a garanzia delle prestazioni (a partire da quelle definite e da definire  come Livelli Essenziali) e l’infrastruttura territoriale che garantisca uniformità  e adeguatezza della rete dei servizi a governance pubblica in ogni Regione.

Riteniamo  fondamentale,  data  la  complessità  dei  fenomeni  in  esame, l’adozione  di  politiche  pubbliche  per  l’inclusione  educativa,  sociale  e  lavorativa  che  operino  in  stretto  coordinamento  tra  loro  con  la  pluralità  di strumenti,  prestazioni  e  servizi  necessari  a  ciascuna  politica,  a  partire  dalla diffusione e qualificazione del sistema di servizi per le famiglie  con carichi di assistenza  e  cura  e  per  la  prima  infanzia  (integrato  con  lo  0-6  e  del  tempo pieno  per  l’inclusione  educativa)  e  dal  rafforzamento  del  ReI  per  il  contrasto alla povertà assoluta e delle politiche attive per l’inserimento lavorativo.

Definizione dei livelli essenziali delle prestazioni
Il  ReI  è  un  primo  passo  nella  definizione  dei  livelli  essenziali  e  nella promozione  della  strutturazione  del  pilastro  più  debole  del  nostro  sistema  di welfare,  quello  dei  servizi  per  l’inclusione  sociale ,  ma  è  necessario  procedere  all’individuazione  di  tutti  LEP,  a  partire  da  quanto  previsto  dalla  legge 328/2000,  e  da  interventi  strutturali  che  rafforzino  l’intero  sistema  di  welfare locale  affrontando  povertà  e  disuguaglianze  per  quello  che  sono:  fenomeni complessi  che  richiedono  interventi  “multidisciplinari”  da  parte  del  sistema pubblico.  Le  cause  che  possono  condurre  le  persone  in  condizioni  di  povertà sono  molteplici  e  non  si  attestano  alla  sola  condizione  reddituale  o  di  non occupazione,  ma  possono  essere  legate  a  condizioni  di  salute,  formative, abitative... 

È necessario, dunque, definire (una normativa quadro nazionale che assicuri), anche  attraverso  passaggi  intermedi  graduali,  i  Livelli  Essenziali  delle Prestazioni  da  garantire  su  tutto  il  territorio  per  superare  le  sperequazioni
generate  dalla  attuale  profonda  divaricazione  dei  sistemi  territoriali  delle politiche  sociali  e  prevenire  un’ulteriore  diversificazione  dei  servizi  pubblici che potrebbe verificarsi con la concessione di ulteriori forme di autonomia ad alcune  regioni.  Una  legislazione  nazionale  di  riferimento  che  assicuri l’uniformità  dei  diritti  sociali  fondamentali,  da  cui  ciascun  territorio,  secondo le proprie peculiarità, possa partire per produrre avanzamenti.

Tra  i  Livelli  Essenziali  delle  Prestazioni  da  definire,  sono  prioritari  anche  alla luce  dei  dati  evidenziati,  quelli  relativi  ai  servizi  socio-educativi  per  la  prima infanzia nell’alveo del sistema integrato 0-6, con l’obiettivo che siano presenti in  modo  omogeneo  sul  territorio  nelle  diverse  tipologie,  di  qualità  ed  accessibili.  Ciò unitamente  al  rafforzamento  sia  degli  strumenti  di  natura fiscale  per  sostenere  le  famiglie  con  figli,  specie  se  numerose  e  con  cari chi  di cura,  sia  dei permessi  e  congedi remunerati  a  motivo  della  cura  di  figli,  a partire  dal  congedo  parentale  e  dai  permessi  di  paternità  e sostenendo  la contrattazione collettiva dedicata al tema.

Incremento  della  dotazione  dei  Fondi  nazionali  per  le politiche  sociali,  loro coordinamento e programmazione partecipata 

I  dati  presentati  mostrano  la  necessità  di  incrementare  strutturalmente  la dotazione dei Fondi nazionali e di attivare criteri e regole che ne favoriscano il coordinamento  ed  una  programmazione  pluriennale  multilivello,  adottando
meccanismi  di  ripartizione  che  tengano  conto  di  indicatori  socioeconomici, oltre che demografici.
Vanno pertanto incrementati i principali Fondi nazionali, in particolare quello per la lotta alla povertà, al fine di allargare la platea dei potenziali beneficiari a tutte  le  famiglie  in  povertà  assoluta  e  aumentare  gli  importi  del  beneficio  in misura  adeguata  a  permettere  alle  famiglie  l’uscita  da  tale  condizione  e potenziare  i  servizi  per  l’inclusione;  quello  per  le Non  autosufficienze (condizione  che  comporta  un  forte  rischio  di  povertà  ed  esclusione)  per  dare  sostanza ad un Piano nazionale integrato sociosanitario ed alla definizione dei  Lesna.  Ciò  in  vista  di  una  normativa  quadro  che  riformi  e  potenzi  l’intero  settore  della  “Long  Term  Care”  (LTC),  quello  delle  politiche  sociali  per sostenere  le  azioni  di  sistema  ed  i  servizi  socio  educativi  all’infanzia  più  fragile.

Inoltre,  vanno  rafforzati  gli  strumenti  di  coordinamento  e  pianificazione nazionale  multilivello  a  partire  dallo  sviluppo  della  Rete  della  Protezione  e Inclusione  Sociale  istituita  dal  decreto  147/2017,  coinvolgendo  attivamente  le parti  sociali  nella  definizione  della  programmazione  e  progettazione  degli interventi a tutti i livelli territoriali.

Un utile strumento in tal senso sarebbe l’implementazione , prevista anch’essa dalla legge 328/2000, di “un sistema informativo dei servizi sociali”, così come ridefinito  dal  Decreto  Legislativo  147/2017  per  assicurare  una  compiuta
conoscenza  dei  bisogni  sociali, del  sistema  integrato  degli  interventi  e  dei servizi  sociali  per  poter  disporre  tempestivamente  di  dati  ed  informazioni necessari alla programmazione, alla gestione e alla valutazione delle politiche
sociali,  per  la  promozione  e  l'attivazione  di  progetti  europei,  per  il coordinamento con strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell'occupazione. Un sistema integrato che sia funzionale alla valutazione e al
monitoraggio  delle  politiche  attuate  e  del  mutare  delle  esigenze  per intervenire con i correttivi necessari.

In un quadro di sistema è rilevante valutare l’effettiva capacità di incidere dei diversi trasferimenti economici. 
È noto come sia necessaria, infine, una riflessione sulla spesa per la protezione sociale  che  contemperi  i  trasferimenti  economici  con  la  presenza  di  efficaci servizi  di  attivazione  e  supporto.  L’integrazione  dei  vari  interventi  dovrebbe
consentire  l’inclusione  sia  delle  persone  in  difficoltà,  sia  evitare  processi  di esclusione di eventuali  caregivers

Strutturare la rete dei servizi territoriali per l’inclusione Deve  esistere  una  correlazione  imprescindibile  tra  misure  individuate, dotazione dei Fondi e rete dei servizi pubblici locali da rafforzare, a partire dal raggiungimento  degli  obiettivi  già  individuati  dai LEP  (dove  definiti),  per creare una infrastruttura di governance pubblica capace di fare sistema con le
risorse  di  privato  sociale  e  volontariato  per  rispondere  a  bisogni  e  aspettative dei  potenziali  beneficiari,  con  una  presa  in  carico  ed  un  accompagnamento attivo    che    sia    realmente  multidisciplinare  e non limitata  a  misure  esclusivamente assistenziali, ma di inclusione sociale e lavorativa.

Condizione  essenziale  per  realizzare  questo  sistema  integrato  di  servizi pubblici  è  lo  sbocco  del turn  over
nella  P.A.,  incrementando  gli  organici  per  i Comuni  (servizi  sociali)  e  le  Regioni  (Cpi)  e  assicurare,  come  previsto  dalla normativa sul ReI, la gestione associata dei servizi sociali (questa riguarda ad oggi  solo  circa  la  metà  degli  ambiti  territoriali)  e  garantire  forme  di collaborazione  e  cooperazione  tra  servizi  a  partire  dalla  determinazione  di
confini omogenei per gli ambiti sociosanitari e le politiche del lavoro.

Le  medesime  logiche  di  integrazione  dovrebbero  riguardare  il  necessario coordinamento  con  i  servizi  sanitari  per  garantire  continuità  assistenziale, valutazione  multidisciplinare  e  presa  in  carico  attraverso  competenti  equipe territoriali  e  percorsi  assistenziali  socio  sanitari.  Come  detto  il  contrasto  dell’esclusione e della marginalità è possibile laddove vi siano servizi capaci di  integrare professionalità e risorse pubbliche e di terzo settore. (07/01/2019-ITL/ITNET)

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