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PENSIONATI ITALIANI NEL MONDO - PENSIONI DI VECCHIAIA - IN SENATO DDL DI RIFORMA COSTITUZIONALE ART.38 PER UNA PENSIONE MINIMA PER TUTTI

(2014-04-18)

  Porta il numero 1391 l'atto del Senato di Riforma Costituzionale dell'art.38 presentato dal Sen. Claudio Micheloni nei giorni scorsi.
Il DDL si compone di un solo articolo - di seguito il testo:
Art. 1.
1. All?articolo 38 della Costituzione sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: ?Ogni cittadino, raggiunti i limiti anagrafici minimi per il trattamento pensionistico, cos? come definiti dalla legge, e sprovvisto dei mezzi necessari alle esigenze di vita, ha diritto ad un trattamento pensionistico. La legge determina l?entit? del trattamento pensionistico minimo e i requisiti soggettivi per beneficiarne e stabilisce che l?importo totale dei trattamenti pensionistici pubblici percepiti da ciascun cittadino non pu? essere superiore a dieci volte il trattamento pensionistico minimo, indipendentemente dai contributi versati. La legge stabilisce la destinazione delle somme eccedenti il trattamento pensionistico massimo per assicurare ai cittadini i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidit? e vecchiaia, disoccupazione involontaria?.

" Il nostro Paese si trova in una condizione di particolare difficolt? economica, finanziaria e sociale. L?Italia, infatti, rischia di rimanere schiacciata dalla sovrapposizione tra gli effetti deflazionistici del rigore finanziario, la recessione produttiva e il crollo dei consumi, pubblici e privati. Certamente ? necessario porre rimedio all?inefficienza nell?allocazione delle risorse pubbliche, ai privilegi e agli sprechi, alle diverse forme di ingiustizia di natura corporativa e clientelare che tuttora gravano sulla nostra economia e sul funzionamento della pubblica amministrazione." afferma il Sen. Micheloni nella premessa al DDL.
Pertanto "Occorre liberarsi di tali diseconomie per motivi di carattere etico, che non scopriamo oggi, e per motivi di carattere pratico, tanto pi? stringenti alla luce dei dati pi? recenti sulla povert? in Italia pubblicati dall?ISTAT: 10 anni fa 6.786.000 cittadini erano al di sotto della soglia di povert? relativa, saliti nel 2012 a 9.563.000, pari al 15,8 per cento della popolazione; solo tra il 2011 e il 2012 si sono aggiunti 1.390.000 cittadini, mentre 1.399.000 cittadini, in quello stesso anno, sono scesi sotto la soglia di povert? assoluta, oggi pari all?8 per cento della popolazione, contro il 5,70 per cento del 2011 e il 5,20 per cento del 2010. Considerando che la crisi dei consumi privati incide sulla salute delle aziende e dunque sull?occupazione molto di pi? del costo del lavoro, creando una spirale regressiva, non si intravede una luce in fondo al tunnel che stiamo percorrendo.

Anche realizzando un avanzo primario di bilancio, se il tasso di crescita rimane inferiore al tasso d?interesse, il debito pu? aumentare comunque. Oggi, nel sistema pensionistico italiano, che assorbe il 27 per cento della spesa pubblica, si manifesta un paradosso: da un lato, nel sistema retributivo, esistono le fondamenta, vale a dire l?integrazione delle pen-sioni minime (a 481 euro, livello peraltro molto basso), ma non c?? un tetto, e non sono solo le pensioni d?oro a ricordarcelo; dall?altro lato, nel sistema contributivo, esiste un tetto, sia pure molto elevato (oltre il quale non si pagano contributi), ma sono assenti le fondamenta. Se ? vero, infatti, che l?aumento della contribuzione dei contratti di collaborazione a progetto (co.co.pro) ha allontanato il pericolo di pensioni misere (ma solo per chi ha cominciato a lavorare con quei regimi contrattuali negli ultimi anni), ? vero pure che per tutti coloro che hanno carriere discontinue, contratti precari, bassi livelli di contribuzione, il futuro si annuncia fosco.

Non v?? dubbio che la persistenza di trattamenti previdenziali di proporzioni eclatanti, grazie ai quali alcuni cittadini, indipendentemente dai contributi versati, arrivano a percepire importi mensili pari a diverse volte l?importo annuale della pensione media, su-sciti indignazione. Tuttavia, se si abbandona il tranquillizzante riparo del sensazionalismo e si analizzano i dati sulla distribuzione della spesa previdenziale nel 2012, ci si accorge che le pensioni d?oro costituiscono non tanto un?anomalia eccezionale, quanto la manifestazione estrema di un male pi? esteso, una iniquit? di fondo che pesa in mi-sura decisiva sull?equilibrio delle finanze pubbliche e dunque sul bilanciamento della struttura socio-economica del Paese. I dati dell?INPS (2012) dicono che su una platea complessiva di 16.533.152 pensionati,coloro che percepiscono un trattamento mensile fino a 10 volte il minimo (481 euro) sono 16.345.012, pari a circa il 98,9 per cento del totale. Al di sopra di quella soglia, il rimanente 1,1 per cento pari a 188.140 persone, fruisce di trattamenti pensionistici i quali, oltre a eccedere abbondantemente qualsiasi criterio di ?adeguatezza alle esigenze di vita?, superano nettamente, nella grande maggioranza dei casi, il livello cui corrispondono i contributi versati (di una percentuale che, in media, varia tra il 28 per cento per le pensioni di anzianit? e il 22 per cento per quelle di vecchiaia), assor-bendo il 16 per cento delle risorse totali (si veda, a tal proposito, una ricerca di F. Patriarca e S. Patriarca recentemente presentata alla Sapienza-Universit? di Roma, in corso di pubblicazione).

Appare chiaro, oggi, che le modalit? at-tuative del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, improntate a un criterio di gradualit? tale da non compromettere quello che nella giurisprudenza costituzionale si definisce principio di affidamento, hanno determinato una situazione di fatto caratterizzata da discriminazioni molto evi-denti tra i cittadini italiani che hanno cominciato a versare i contributi prima del 1995 e quelli che hanno cominciato dopo, per tacere di coloro che ricadono integralmente nel sistema contributivo, o che devono ancora cominciare a lavorare.

Inoltre, a quel criterio di gradualit?, iper garantista ma a senso unico, va ascritta anche una contrazione della platea contributiva degli ultimi anni che a sua volta, naturalmente insieme alle conseguenze della recessione economica, concorre a minare l?equilibrio stesso del nostro sistema previdenziale, anche perch? di tutti coloro che sono andati in pensione di anzianit? con le vecchie regole negli ultimi 10 anni ? vale a dire 10 milioni di persone ad un?et? media di 57 anni e con una pensione media pari a 2,5 volte la media delle pensioni di vecchiaia ? solo il 15 per cento afferisce a qualifiche professionali basse, e certamente meno ancora sono i cittadini che rientrano a vario titolo nella categoria dei lavori usuranti (peraltro mai definita in maniera coerente e organica).

Pertanto, ?gradualit?? e ?ragionevolezza? sono servite a mandare in pensione, prima del necessario, un considerevole numero di cittadini benestanti, che hanno smesso, prima, di versare contributi consistenti e hanno cominciato, prima, a percepire tratta-menti molto pi? che ?adeguati?, tanto alle loro esigenze quanto ai contributi versati, oltre ad avere la possibilit? di cumulare redditi aggiuntivi da lavoro senza alcun limite. Non ? poi cos? sorprendente che l?equilibrio fi-nanziario del sistema previdenziale, a maggior ragione nel pieno della crisi attuale, non sia assicurato oltre ogni ragionevole dubbio. Occorre intervenire, dunque, per diversi motivi: per introdurre criteri di equit? sociale, di solidariet? intergenerazionale e di sostenibilit? finanziaria in un sistema, quale quello previdenziale, che ad oggi appare deficitario sotto tutti e tre i profili; per ottenere effetti positivi rilevanti, seppure indiretti, sullo stato di salute dell?economia nel suo insieme; per corrispondere il pi? possibile alla ispirazione sociale e progressiva della Costituzione.

A tal fine, dunque, si integra il dettato dell?articolo 38 della Costituzione sancendo in primo luogo il diritto di tutti i lavoratori a ottenere una pensione mima (oggi esistente solo nel sistema retributivo), purch? sprovvisti dei mezzi necessari per vivere e comunque al raggiungimento dell?et? di vecchiaia, alle condizioni stabilite dalla legge.
Per converso, al fine di evitare eccessive diseguaglianze e garantire la funzione solidaristica dell?istituto pensionistico, si sancisce un di-vieto di erogare trattamenti pensionistici che, nel complesso, siano superiori a dieci volte il limite minimo stabilito per legge.

Tale normativa di rango primario dovr?, in particolare, stabilire i requisiti soggettivi per beneficiare del trattamento pensionistico minimo (tra i quali anche l?et?) nonch? la destinazione, anche per la fase transitoria, delle somme eccedenti il trattamento pensionistico massimo ? circa 4 miliardi sui dati INPS 2012 ? all?integrazione delle pensioni minime e al finanziamento degli istituti solidaristici di sostegno al reddito. Per gli organi costituzionali, si rimette poi alle rispettive fonti di disciplina la regolamentazione delle modalit? di destinazione delle somme eccedenti il trattamento pensionistico massimo al finanziamento degli istituti solidaristici di sostegno al reddito. Per raggiungere questi obiettivi si ritiene di introdurre un limite che corrisponde sostanzialmente a quello gi? in vigore per le prestazioni pensionistiche integralmente ri-conducibili al sistema contributivo (100.000 euro lordi di reddito imponibile), ma con una differenza determinante: la quota di contribuzione eccedente il limite ? destinata a finanziare gli interventi redistributivi precedentemente ipotizzati. Attraverso queste disposizioni, dunque, si intende attuare pienamente quella funzione solidaristica attribuita dall?articolo 38 al si-tema previdenziale nel suo complesso, garantendo in particolare, nella logica dell?articolo 3, la rimozione ?degli ostacoli di or-dine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert? e l?eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana? e restituendo concretezza ai ?doveri inderogabili di solidariet? politica, economica e sociale? che l?articolo 2 sancisce, nonch? al principio di ?pari dignit? sociale? di tutti i cittadini che informa non solo l?ar-ticolo 3 ma l?intera Costituzione, nella sua vocazione personalista. Del resto, il principio di solidariet? inter-generazionale ? sancito espressamente dal-l?articolo 3 della Carta di Nizza, parallelamente al dritto degli anziani a una vita dignitosa (articolo 25), di modo che il perseguimento di fini solidaristici giustifica anche eventuali compressioni delle libert? econo-miche e del principio di concorrenza (Corte di giustizia, sent. Kattner ? Albany).

Anche la Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare che in caso di difficolt? finanziarie, che impediscono per di pi? il ri-spetto di obblighi internazionali, uno Stato pu? imporre alcuni tagli alle pensioni di una determinata categoria di persone. Ci?, sempre che si realizzi un equo bilanciamento tra le esigenze collettive e i diritti dei controinteressati (sentenza 8 ottobre 2013, Da Concei?ao mateus and Santos).

D?altra parte, Paesi con una solida reputa-zione in tema di tutela della propriet? pri-vata, della libert? d?impresa e del profitto individuale, prevedono tanto in linea di principio, anche costituzionale, quanto nelle politiche concrete, una marcata finalit? solidale del sistema previdenziale. L?articolo 112 della Costituzione federale svizzera, ad esempio, recita (commi b e c): ?le rendite devono coprire adeguatamente il fabbisogno vitale; la rendita massima non pu? superare il doppio di quella minima?. Il presente disegno di legge si inserisce dunque in un solco gi? consolidato a livello comparatistico, valorizzando quei princ?pi personalistici e solidaristici che ispirano la nostra Costituzione, nelle sue parti pi? lungimiranti." (18/04/2014-ITL/ITNET)

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